L'analisi. Kosovo, Armenia, Yemen, Medio Oriente: come si ferma la «tempesta perfetta»
Un viaggio lampo sullo sfondo della crescente emergenza umanitaria a Gaza. Cui seguirà una tappa ad Amman per un summit a quattro col re Abdullah II di Giordania, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas) per discutere «dei pericolosi sviluppi a Gaza e delle loro ripercussioni sulla regione», ma pure per «trovare un orizzonte politico che rilanci il processo di pace israelo-palestinese». Ha obiettivi ambiziosi la visita del presidente degli Stati Uniti Joe Biden in Medio Oriente. Ecco che cosa si agita sullo scacchiere internazionale.
Una settimana per fermare la tempesta perfetta. Non rimane troppo tempo per prevenire l’esplosione delle «bombe a orologeria» di cui è disseminata la mappa della “Terza guerra mondiale a pezzi”. L’elenco attraversa tre continenti, tracciando una rotta che dai Balcani raggiunge il Sahara passando per l’intero Medio Oriente. Dal Kosovo all’Armenia. Dal Libano allo Yemen. Fino ai deserti dei conflitti africani mai risolti.
Il 19 settembre l’Azerbaijan ha ripreso il controllo del Nagorno-Karabakh costringendo i 130mila armeni cristiani dell’enclave a fuggire verso l’Armenia. Ma non è finita. Se due giorni fa il presidente dell'Azerbaigian Ilham Aliyev ha innalzato la bandiera nazionale nella capitale nella ex regione separatista, poche ore prima il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, aveva avvertito che l'Azerbaigian potrebbe invadere l'Armenia. Nel mirino ci sarebbe in particolare il sud, un tratto di 43 chilometri ad alta tensione. È la distanza che separa l’Azerbaigian dal Naxçývan, una esclave dell’Azerbaigian che a oriente confina con l’Armenia e a Occidente con la Turchia. Se Baku riuscisse a prenderne il controllo, realizzerebbe l’agognato corridoio che collegherebbe direttamente Baku ad Ankara, grande alleato degli azeri. Quei 43 tortuosi chilometri, però, sono il confine tra Armenia e Iran, e Teheran ha già fatto sapere di non essere disposta ad accettare tensioni su quella frontiera. L’intera regione è storicamente uno dei transiti della rotta dall’Europa all’Estremo Oriente.
La porta d’accesso via terra sono i Balcani, dove dal momento del primo attacco russo contro Kiev sono state riaccese le braci dei rancori mai dimenticati. Vladimir Putin più volte aveva minacciato le cancellerie occidentali, e se la Moldavia deve fare i conti con l’enclave filorussa della Transnistria, in Kosovo si continua a soffiare sul fuoco. Sabato la polizia di Pristina ha sequestrato un ingente quantitativo di armi, munizioni e ordigni esplosivi. Veton Eljshani, vicecapo della polizia, ha spiegato che il blitz è stato condotto nel corso delle indagini dopo gli scontri armati del 24 settembre scorso a Banjska, nel nord, quando un poliziotto kosovaro e tre assalitori serbi sono rimasti uccisi. L'arsenale è stato rinvenuto in un seminterrato di Mitrovica Nord.
Proseguendo nel suo giro mediorientale, il capo della diplomazia americana si è fermato anche a Riad, la capitale saudita, tappa obbligata per ogni tentativo di riequilibrio. Note ufficiali delle due cancellerie confermano che nell’incontro con il ministro degli esteri sautida Farhan Al Saud, «i capi delle due diplomazie hanno discusso anche di Yemen e Sudan». Quella dello Yemen è una delle “guerre dimenticate”, con i sauditi impegnati a scalzare miliziani Houthi, sostenuti dall'Iran. Mentre in Sudan il recente scontro sostenuto anche dalla Russia ha rimesso in moto la macchina delle guerre africane.
Le ricadute sono imprevedibili, specie quando scendono in piazza le folle. Se i dimostranti non mancano in quasi tutte le capitali occidentali, è soprattutto al Medio Oriente che guardano gli analisti e le intelligence. A Baghdad decine di migliaia di iracheni si sono radunati venerdì scorso dopo la preghiera nel centro di piazza Tahrir, sventolando bandiere palestinesi e bruciando quella israeliana. Raduni organizzati dallo Stato si sono svolti in tutto l'Iran, in sostegno di Hamas e soprattutto contro israele. Manifestazioni che, a differenza di quanto non avvenga regolarmente contro i giovani che chiedono un cambio di regime a Teheran, non hanno subito alcun freno dalla polizia. Anche in Indonesia e in Bangladesh migliaia di persone sono scese in piazza, come anche nella regione indiana del Kashmir, in Pakistan, in Afghanistan ed Egitto. Papa Francesco lo ha compreso da tempo, perciò di nuovo ha chiesto che «non si versi altro sangue innocente né in Terra Santa né in Ucraina, o in qualsiasi altro luogo, basta, le guerre sono sempre una sconfitta, sempre».