Il progetto. Il rettore Buonomo: «Una chance agli ultimi dall'Università del Papa»
Vincenzo Buonomo
L’Università Lateranense è ora fra i promotori di “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Una prestigiosa adesione giunta mentre il cartello di Caritas e Focsiv affronta proprio il tema dell’istruzione.
Rettore Vincenzo Buonomo, quali le motivazioni della vostra partecipazione?
Ci siamo chiesti come poter essere presenti nel sostegno all’istruzione in questo momento in cui il Covid ha bloccato anche le capacità economiche di molte famiglie. Per la nostra “mission” è il tema più importante: curare la formazione dei giovani. Il nostro sforzo come “Università del Papa” è quindi di venire incontro, per essere espliciti, a quanti vorrebbero formarsi ma per ragioni economiche non ne hanno in questo momento la possibilità.
Concretamente mettete a disposizione delle borse di studio. Come le organizzerete?
Si tratta di nove borse di studio per neo-diplomati, selezionati da Caritas e Focsiv, che potranno accedere alla laurea triennale in Filosofia o in Scienze della pace – cioè Scienze politiche internazionali e della cooperazione – o al ciclo unico di 5 anni in Giurisprudenza. Pensiamo a laici provenienti potenzialmente da tutto il mondo, perché il diritto allo studio per chierici e religiosi è già garantito in altro modo, anche attraverso il nostro collegio.
Dopo l’emergenza alimentare e quella del lavoro, nella campagna “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, ora l’istruzione è indicata come leva sociale per superare in modo adeguato la pandemia. Qual è, rettore Buonomo, la sfida educativa per le università in questo momento?
La sfida educativa è di intercettare le novità, ma non semplicemente in termini di notizia ma in termini di formazione, e quindi poter dare una sedimentazione alla novità in modo da riportarla all’idea di università o di scuola, vale a dire all’idea di una formazione permanente e specializzata. Mai come in questo momento siamo di fronte a una delle curve della storia e dobbiamo capire come è possibile collocare la tradizione dell’università, cioè la relazione tra studente e docente, in cui si attua una formazione reciproca. Dobbiamo capire come dare questa formazione tenendo conto delle novità. Non dobbiamo nasconderci che la pandemia ha portato qualcosa di diverso nel concepire la realtà, nell’abbreviare i percorsi. Non dobbiamo perdere l’identità di università, sia pur relazionandoci alla situazione dell’oggi.
Le campagne di solidarietà spesso hanno media partner, partner finanziari, il sostegno di aziende. Meno abituale è l’adesione di una università: quale il ruolo specifico di un “academic partner”?
I partner economici, soprattutto le imprese transnazionali, hanno creato i cosiddetti “academic center” per dare una formazione accademica. Qui si ribalta la prospettiva, è l’università che entra come partner pronto a dare le necessarie competenze per la formazione e la professionalizzazione: questo provoca un effetto moltiplicatore, secondo gli schemi propri della cooperazione internazionale. Alla Università Lateranense da anni esiste un master sulla cooperazione e il diritto internazionale che ha già formato 186 persone impegnate direttamente in organizzazioni nazionale o internazionali. Ora riproponiamo un percorso analogo, ma partendo dalla formazione universitaria di base.
Durante il lockdown è esplosa la didattica a distanza mentre si auspica, per il dopo pandemia, un “Patto educativo globale”. La didattica a distanza potrebbe far arrivare l’istruzione anche nelle periferie del mondo?
Il 15 ottobre, proprio dalla sede della Lateranense, verrà lanciato il Patto educativo globale. Una scelta di per sé significativa. In questo contesto l’insegnamento a distanza, da elemento emergenziale va riportato in una didattica funzionale, a quell’idea di relazione di cui parlavamo: il contatto diretto, magari anche online, crea un rapporto e fa comunità.