Mondo

Il commento. Un sogno di pietra finito nell'incubo

Giorgio De Simone venerdì 22 maggio 2015
Venti secoli, quanti ne contiamo dal tempo di Gesù. Venti secoli e Palmira è lì. Chi la intravede da lontano pensa a un miraggio, a un’apparizione. Poi, quando si avvicina e ne conosce un poco la storia, apprende che questa antica capitale a metà strada tra il Mediterraneo e l’Eufrate è stata incrocio di civiltà, città doganale sulla Via della seta, raduno di carovane sulla porta del deserto nonché culla del regno di Zenobia, «la più nobile e bella donna d’Oriente», l’emula di Cleopatra, la regina raffinata e colta che vagheggiò un impero per sé sfidando l’imperatore Aureliano e finendone eroicamente prigioniera, portata a Roma in catene, ma catene d’oro.  Luogo bimillenario, sorta di territorio neutro tra Roma e la Persia, nucleo cui da Oriente giungevano le merci destinate ai mercati siriani e romani, Palmira vide partire nel 259 d.C. il suo sovrano Settimio Odenato alla testa di un esercito che affrontò i Persiani, li sconfisse e spinse così i propri confini al di là della Siria, fino alla Palestina, alla Mesopotamia, forse all’Armenia.  Si conservano oggi a Palmira resti incomparabili quali il tempio di Baal, la via Colonnata, il Teatro, l’Agorà, le Terme, si conserva il profumo dei mille aromi sparsi nei secoli, si conserva il ricordo di porcellane, sete, pietre preziose caricate sui dorsi dei cammelli. Si conservano ancora, a Palmira, le orme della bellezza irripetibile, le tracce del mistero, i segni della leggenda, vale a dire tutto ciò che attraverso le generazioni e le dominazioni è stato custodito, onorato, rispettato e che oggi, per una inesplicabile pugnalata della Storia, corre un pericolo mortale. A Palmira sono appena giunti i miliziani dello Stato islamico. Entrati nella città moderna, hanno preso il controllo anche della Palmira di cui noi parliamo, l’antico sito archeologico patrimonio dell’Unesco.  Della sua amputazione finora non si hanno notizie, ma ricordando cos’hanno fatto i jihadisti negli altri siti antichi di Hatra e Nimrud in Iraq, trattati a colpi di ascia, piccone e kalashnikov, e considerando come da loro siano ritenuti 'inammissibili' tutte le forme d’arte che risalgono a epoche e culture pre-islamica, la preoccupazione è grande. Sanno, del resto, i miliziani dell’Is, l’importanza che sia il mondo mediorientale sia quello occidentale attribuiscono a Palmira quando ne cantano la 'liberazione'.  Come i Visigoti di Alarico a Roma nel 410, i lanzichenecchi ancora a Roma nel 1527, i turchi a Costantinopoli nel 1453, sono di fronte a bellezze incomparabili che non vogliono né vedere né capire. Palmira non è Roma né Costantinopoli, ma la sua importanza è grande e il suo magnetismo unico. Il capo del governo siriano per le antichità, Maamoun Abdulkarim ha garantito che diverse centinaia di statue sono state trasportate in luoghi sicuri. In tutti i casi la situazione è gravissima. Di fatto non si sa se Palmira si potrà salvare. Intorno alla città le forze che contrastano lo Stato islamico se la passano male. E mentre debole e intimorito si mostra sempre di più il vicino Iraq, tra le grandi Nazioni è una gara a scansarsi e a non saper che fare. Onu e Unesco, da parte loro, sono latitanti, mentre spettatrice, come sempre, è l’Europa e poco affidabili appaiono purtroppo gli Stati Uniti.  Palmira pochi giorni fa sembrava salva, ora non lo è più e già domani potremmo vederla sfregiata, sfigurata, deturpata, forse ridotta in macerie e perduta per sempre. Così è. Sapremo allora che il mondo ha potuto permettersi di perderla per la semplice ragione che, con tutti i suoi mezzi, le sue armi, i droni e la sua diplomazia, non è stato in grado di salvarla.