Africa. Un presidente a vita in Burundi
Pierre Nkurunziza ha 54 anni (Ansa/Ap)
«Chiunque si opporrà alle riforme dovrà affrontare la potenza di Dio». Il presidente burundese, Pierre Nkurunziza, non usa mezzi termini. È pronto a tutto pur di rimanere al potere, praticamente a vita. Il referendum di oggi è stato preceduto da «uccisioni, arresti indiscriminati, torture, migliaia di civili in fuga», come dicono gli oppositori. Proteste di gran parte della popolazione e in tutto il Paese si avverte il timore che possano scoppiare nuove violenze.
«Quelli che voteranno “no” saranno considerati traditori, comprati e finanziati dai colonizzatori bianchi – ha affermato ieri Evariste Ndayishimiye, segretario generale del Cndd-Fdd, il partito al potere –. Sono nemici dello Stato e persino dei demoni portatori di malocchio». Tutti si aspettano però che vinca il «sì». Perché solo così Nkurunziza riuscirà a cambiare il limite dei mandati presidenziali, da cinque a sette anni, per governare il Burundi almeno fino al 2034. Colui che si è recentemente definito il «leader supremo tradizionale», non è il primo capo di Stato africano ad aver voluto cambiare la costituzione per i propri interessi: è successo con Denis Sassou Nguesso in Congo Brazzaville, Yoweri Museveni in Uganda e Paul Kagame in Ruanda, solo per citare alcuni esempi.
Ma mentre in questi Paesi la situazione è rimasta relativamente calma, in Burundi potrebbe iniziare un altro conflitto civile. «Questo referendum è stato istituito da un presidente illegale – ha detto alla stampa Pierre-Claver Mbonimpa, noto attivista burundese dei diritti umani da tre anni in esilio –. Si potrà cambiare la costituzione del presidente ma non quella del Burundi». Nkurunziza (54 anni), appartenente all’etnia maggioritaria hutu ed ex guerrigliero durante il genocidio degli anni novanta contro i tutsi, è salito al potere nel 2005. Verso la fine dei due mandati concessi dalla costituzione, il presidente ha espresso il desiderio di un terzo mandato provocando la rabbia dell’opposizione e della società civile.
Nel maggio del 2015, mentre Nkurunziza era in Tanzania, alcuni militari hanno anche provato a spodestarlo, ma il tentato colpo di Stato è fallito in soli due giorni. Poche settimane dopo, invece, il leader burundese ha vinto le elezioni e il Paese è imploso.
«Dal 2015, circa 1.200 persone sono morte e oltre 400mila sono scappate all’estero», stimano le Nazioni Unite. Tra i gruppi presi maggiormente di mira c’è anche la chiesa locale. «Non abbiamo solo paura delle autorità costituite da militari, polizia e agenti dei servizi segreti – ha confermato un religioso a capo di un gruppo di giovani cattolici –. Siamo stati attaccati anche dalla Imbonerakure, la milizia formata dalla gioventù filogovernativa».
Sono invece salite a 26, inclusi 11 bambini, le ultime vittime della politica locale, dopo che alcuni individui sconosciuti «armati di machete e fucili» sono entrati venerdì scorso a Cibitoke, un villaggio nel nord-ovest del Paese. E in molti collegano quell’eccidio al referendum di oggi. «Gli sviluppi della crisi burundese sono sempre più preoccupanti – ha commentato Zeid Ra’ad al Hussein, Alto commissario per l’ufficio Onu dei diritti umani –. Tutti soffriranno se in Burundi scoppieranno altre violenze durante o dopo il referendum».