Bruxelles. È un dialogo tra sordi il negoziato sulla Brexit
Posizioni lontane, quasi un dialogo fra sordi. La terza tornata negoziale fra Ue e Regno Unito per la Brexit si è chiusa ieri con la sensazione che la trattativa non decolli. Che la settimana non fosse andata bene si era già capito, ieri a dirlo a chiare lettere è stato il capo negoziatore per l’Ue, il francese Michel Barnier: «non è stato fatto alcun progresso decisivo sui temi principali», e cioè lo status dei cittadini Ue nel Regno Unito, i rapporti tra Irlanda del Nord e Repubblica irlandese, e soprattutto l’aspetto finanziario, e cioè la somma dovuta all’Ue da Londra. «Il tempo è poco – ha detto anche ieri Barnier – e sta passando. Il Regno Unito sarà fuori dall’Unione alla mezzanotte del 29 marzo 2019».
Il tutto mentre il premier britannico Theresa May, in visita in Giappone, ha annunciato che non ha alcuna intenzione di tirarsi indietro, e si ricandiderà alle elezioni previste per il 2022. «Non sono una che molla» ha dichiarato, smentendo le voci che la davano in uscita al più tardi nell’agosto 2019, pochi mesi dopo l’uscita effettiva di Londra dall’Ue. Il mandato negoziale sulla Brexit approvato all’unanimità dai 27 è chiaro: prima l’accordo su questi tre punti, solo dopo, una volta stabiliti «progressi sufficienti», si potrà parlare del futuri rapporti Ue-Londra. A parte piccoli passi avanti su questioni secondarie, ha avvertito Barnier, «la situazione – ha avvertito Barnier – è che siamo molto lontani dal poter dire che vi sono stati progressi sufficienti, troppo poco perché io possa dire al Consiglio Europeo (il 19-20 ottobre, ndr) che possiamo avviare le discussioni sulle future relazioni». I britannici, invece, insistono nel condurre i due negoziati in parallelo, «possiamo risolvere varie questioni – ha detto il capo negoziatore britannico David Davis – tenendo un occhio su come funzioneranno le nostre relazioni in futuro». Davis è tornato a chiedere «immaginazione e flessibilità» all’Ue, che invece non cede sull’ordine temporale, con una insolita compattezza dei 27. I documenti prodotti da Londra per chiarire le sue posizioni non hanno fatto altro che aumentare l’irritazione dell’Ue, il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker li ha definiti «del tutto insufficienti». Ad esempio sul mercato interno: «il Regno Unito – ha detto Barnier – vuole riprendersi il controllo, vuole adottare propri standard e regolamenti, ma pretende anche che questi standard siano automaticamente riconosciuti dall’Ue. È sem- plicemente impossibile. Non si può esser fuori dal mercato unico e plasmare l’ordine giuridico ». Il punto più ostico è quello finanziario. Londra dapprima aveva riconosciuto di avere degli obblighi oltre la Brexit, invece «dopo questa settimana – ha lamentato Barnier –, è chiaro che non ritiene di dover onorare i suoi obblighi dopo l’uscita».
E invece «l’Ue a preso a 28 impegni a lungo termine. Non è possibile che i contribuenti Ue debbano pagare a 27 obblighi presi a 28». Insomma «troppe incertezze », dice Barnier, «come possiamo costruire un clima di fiducia?». Londra non ci sente, «vi è un grande disaccordo da superare», ha ammesso Davis. La Commissione comunque per ora non conferma la cifra di 100 miliardi di euro circolata nei mesi scorsi. Rimane poi il problema dei cittadini Ue nel Regno Unito, l’Ue insiste che devono potere appellarsi alla Corte di giustizia Ue anche dopo la Brexit, Londra rifiuta e afferma che i diritti saranno garantiti dalle corti britanniche. La speranza a questo punto è che i britannici stiano bluffando per migliorare la sua posizione negoziale. Il rischio di nessun accordo, altrimenti, si farebbe concreto.