Medio Oriente. Raid contro gli Houthi da Usa e Gb. Israele: accerchiata Khan Yunis
Ancora intensi combattimenti a Khan Yunis
Gli Usa e il Regno Unito hanno condotto nuovi attacchi aerei e missilistici su larga scala contro le strutture dei ribelli Houthi nello Yemen. "Abbiamo colpito magazzini sotterranei degli Houthi e basi di controllo aereo e missili balistici". Lo hanno dichiarato gli Stati Uniti in un comunicato congiunto con Australia, Bahrain, Canada, Olanda e Regno Unito, a commento del nuovo attacco alle basi occupate dai miliziani yemeniti. L'operazione, spiega il Pentagono, "è arrivata in risposta ai continui attacchi nel Mar Rosso contro navi commerciali e mercantili, che minacciano il commercio globale e la vita di marittimi innocenti". "Il nostro obiettivo - ha aggiunto il Pentagono nella nota congiunta - resta quello di allentare la tensione e riportare stabilita' nel Mar Rosso, ma ribadiamo il nostro avvertimento ai vertici degli Houthi: non esiteremo, davanti a reiterate minacce, a difendere le vite e la libera circolazione del commercio in una delle rotte piu' importanti al mondo".
Immediata la reazione (verbale). Per il leader della milizia Houthi, Mohamed Ali al-Houthi, gli attacchi “renderanno il popolo yemenita soltanto più forte e determinato a contrastarvi, in quanto siete aggressori del nostro Paese". "Gli americani e i britannici - ha aggiunto in un post pubblicato su X - devono capire che noi siamo in grado di rispondere e che la nostra gente non conosce resa".
Accerchiata Khan Yunis
Le forze israeliane di terra hanno completato l'accerchiamento di Khan Yunis, la principale città nel settore meridionale della Striscia di Gaza ed hanno rafforzato la propria presenza al suo interno. Lo ha reso noto il portavoce militare. All'operazione, ha aggiunto, hanno partecipato unità di paracadutisti, della brigata Givati e mezzi blindati, assistiti da unità di commando. Quell'area - ha aggiunto il portavoce - è ritenuta una roccaforte della Brigata Khan Yunis di Hamas. Nel corso delle operazioni, ha aggiunto il portavoce, ''abbiamo eliminato decine di terroristi e preso possesso di magazzini di armi". L'esercito israeliano ha chiesto ai residenti di 6 rioni ad ovest della città di Khan Yunis di evacuare verso "la zona umanitaria" di Moassi sul mare, "attraverso Al-Bahar Street". Lo ha fatto sapere il portavoce militare in arabo Avichai Adraee aggiungendo che l'invito è "per la sicurezza dei residenti".
Salito ancora il bilancio dei soldati israeliani uccisi nei combattimenti: sono 24, segnando il più alto bilancio delle vittime israeliane in un giorno dall'inizio dei combattimenti nell'enclave. Il portavoce militare, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha detto che 21 soldati sono stati uccisi quando una granata con propulsione a razzo ha colpito un carro armato che sorvegliava le forze israeliane. Allo stesso tempo, si è verificata un'esplosione in due edifici a due piani dove le forze avevano piazzato esplosivi per distruggere gli edifici. L'esplosione ha innescato il loro collasso sui soldati israeliani.
Israele propone una tregua per gli ostaggi
Benjamin Netanyahu prova a raccogliere i cocci. E a rilanciare. «Abbiamo una proposta per i rapiti» dichiara, dopo aver incontrato un manipolo di parenti degli ostaggi, precipitati in un gorgo di disperazione senza fine, da quel maledetto 7 ottobre scorso. Solo in serata i contorni della «proposta» israeliana, già consegnata ad Hamas, sono stati fatti trapelare: una pausa nei combattimenti a Gaza di due mesi in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi.
Incalzato dalle proteste che sabato hanno invaso le principali città del Paese, a cominciare da Tel Aviv, incalzato dall’opposizione che torna a chiedere elezioni, incalzato perfino dal suo alleato numero uno, quel Joe Biden che vuole arrivare a una risoluzione del conflitto prima del rush finale per le elezioni americane, il premier israeliano sembra affondare sempre più. Con la rabbia che è entrata fin dentro le stanze del potere, facendo irruzione nella commissione Finanze della Knesset. Uno schiaffo a una leadership che, anche i sondaggi, danno come usurata. Secondo una rilevazione per Channel 13, resa nota dalla Cnn, in caso di elezioni, il partito Likud di Netanyahu oggi non andrebbe oltre la conquista di 16 seggi.
Sempre secondo il sondaggio, il 53% degli intervistati ritiene che gli interessi personali del premier siano stati la preoccupazione principale che ha guidato la sua condotta della guerra. «Non ce ne andremo finché gli ostaggi non saranno tornati», ha urlato Eli Stivi, il cui figlio Idan è stato “inghiottito” dai meandri di Gaza. Assieme a Eli Stivi, una ventina di persone – tutte con indosso una maglietta nera – hanno issato cartelli («non vi siederete qui mentre loro stanno per essere uccisi”) e chiesto a gran voce la liberazione «ora, ora, ora!», dei loro familiari nell’aula che ospita la commissione. «Almeno uno vorrei riavere vivo, almeno uno su tre!», ha gridato una delle manifestanti. I parenti dei rapiti promettono di presidiare la Knesset e la casa del primo ministro fino alla liberazione dei 136 ostaggi che si presume siano ancora, a oltre tre mesi dall’inizio della guerra, nella mani di Hamas.
Il giorno dell'Europa
È il giorno dell'Europa, sul complesso (e scottante) dossier mediorientale. Dopo mesi di lavorìo diplomatico statunitense, e la porta sbattuta in faccia al presidente Usa Joe Biden da parte del premier israeliano Benjamin Netanyahu sulla richiesta di «passi concreti» per la creazione di uno Stato palestinese, oggi tocca all'Unione Europea far sentire la sua voce.
Riuniti a Bruxelles per il Consiglio Affari Esteri, i capi delle diplomazie dei Ventisette affrontano due questioni: la missione navale Ue nel Mar Rosso, a protezione dei commerci marittimi dagli attacchi degli Houti dello Yemen sostenuti dall'Iran in funzione anti israeliana, e lo scenario più complessivo della guerra a Gaza, che in tre mesi e mezzo ha fatto più di 25mila vittime in gran parte civili (fonte il ministero della Sanità controllato da Hamas, non tiene conto dei dispersi), e che ogni giorno minaccia di allargarsi sempre più investendo altre regioni del Medio Oriente, dal Libano a Iraq e Siria, allo Yemen fino allo stesso Iran.
Al Consiglio Ue partecipano anche i ministri degli Esteri israeliano, Israel Katz, e dell'Autorità nazionale palestinese, Riyad al-Malki. «Sono venuto a discutere due cose - ha detto Katz -: riportare a casa gli ostaggi quanto prima, compreso un bimbo e quattro donne, e chiedere il sostegno contro Hamas, perché dobbiamo tornare ad avere sicurezza». Katz avrebbe anche illustrato il progetto di un'isola artificiale da costruire davanti alla Striscia.
«Sono venuto qui per dire che l'azione più importante da intraprendere è il cessate il fuoco. Dobbiamo chiedere collettivamente un cessate il fuoco, non possiamo accettare niente di meno né avere esitazioni. Ogni giorno vengono uccisi innocenti - donne, bambini, anziani - e questo è inaccettabile» ha detto al-Malki, aggiungendo di aspettarsi una condanna delle dichiarazioni di Netanyahu, che «rifiuta la soluzione a due Stati», e «sanzioni» contro lo stesso.
Al-Malki ha respinto al mittente l'ipotesi dell'isola artificiale: «Chi vuole partire per abitare in isole artificiali o naturali, ci può andare. Noi resteremo nel nostro Paese e resisteremo per restarci, per i nostri diritti, per avere lo Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est».
Nella Striscia di Gaza proseguono raid e combattimenti, mentre in Israele cresce lo scontento per l'operato del governo. Secondo un'analisi del Washington Post, Netanyahu punterebbe a mantenere la guerra a questo livello nell'attesa del potenziale ritorno al potere dell'ex presidente Donald Trump e di un «cambiamento delle deroghe politiche a Washington».
I Paesi arabi: l'Ue chieda il cessate il fuoco e lavori con noi
A Bruxelles è presente anche il ministro degli Esteri della Giordania, Ayman Hussein Abdullah al-Safadi: Israele, denuncia, «con la sua politica di aggressione a Gaza, e continuando con misure che minano la soluzione a due Stati, sta condannando il futuro della regione ad ulteriori conflitti e più guerra. Il mondo intero sta dicendo che l'unica via d'uscita da questa situazione è la soluzione a due Stati». «Ci aspettiamo che l'Ue chieda un cessate il fuoco e lavori con noi per raggiungere un piano concreto per la soluzione a due Stati, il momento è ora».
La Giordania è uno dei Paesi, insieme con l'Egitto, più direttamente coinvolti nelle possibili conseguenze della guerra a Gaza. Entrambi si oppongono fermamente a un eventuale afflusso di profughi nei loro territori.
Sulla questione palestinese l'Arabia Saudita si era già espressa: nessun processo di normalizzazione nei rapporti con Israele né finanziamenti alla ricostruzione di Gaza senza un percorso serio e credibile verso la creazione di uno Stato palestinese. «Altrimenti tra un anno o due saremo daccapo», ha ribadito il ministro degli Esteri Faisal bin Farhan al-Saud alla Cnn.
Profughi lasciano la periferia meridionale di Khan Yunis, sulla quale si avvicinano i combattimenti, e lungo la strada costiera si dirigono verso Rafah nell'estremo sud della Striscia - Ansa
Borrell (Ue): lavorare con i Paesi arabi per uno Stato palestinese
«La situazione umanitaria a Gaza non potrebbe essere peggiore, non c'è cibo, medicine e le persone sono sotto le bombe. Alcuni ministri accettano che ci sono troppe vittime civili ma quando troppo è troppo? Oggi parleremo anche di questo» ha dichiarato stamani l'Alto rappresentante Ue Josep Borrell. «Non è il modo di condurre un'operazione militare, e lo dico nel rispetto delle vittime del 7 ottobre», ha aggiunto.
Con i ministri degli Esteri, ha anticipato il capo della diplomazia Ue, «avremo una discussione su un approccio complessivo. Dobbiamo smettere di parlare del processo di pace e cominciare a parlare più concretamente del processo per la soluzione a due Stati. Perché la pace potrebbe essere di diversi tipi. Quindi parliamo di quello che vogliamo fare, che è costruire una soluzione a due Stati. D'ora in poi - ha proseguito - non parlerò più di processo di pace ma di processo per la soluzione a due Stati. E siamo seri in merito: dobbiamo intanto fermare le cause che la impediscono. E sicuramente Hamas è una di queste, una importante. Ma ce ne sono altre. E questo approccio dev'essere discusso e studiato, so che è difficile, ci sono 27 visioni diverse ma dobbiamo lavorare con il mondo arabo».
Tajani: «Due Stati è l'unica soluzione per la pace»
A Bruxelles il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha chiarito la posizione dell'Italia: «Due Stati è l'unica soluzione se vogliamo la pace» ha detto, riferendosi alla creazione di uno Stato palestinese riconosciuto dalla comunità internazionale e al contestuale riconoscimento di Israele da parte di Stati arabi che, come l'Arabia Saudita, non lo riconoscono ancora pienamente.
Rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se la missione navale europea nel Mar Rosso non fosse un intervento militare, Tajani ha precisato che è «un intervento militare a difesa delle navi mercantili italiane. C'è un crollo nel traffico mercantile, noi siamo un Paese esportatore e abbiamo il dovere di difendere le nostre navi. Non facciamo la guerra a nessuno ma difendere le nostre navi è un dovere della Repubblica e del governo».
«Noi stiamo proponendo assieme a Francia e Germania una missione che possa garantire la sicurezza del traffico marittimo. Io mi auguro che si possa già approvare definitivamente la missione nel prossimo Consiglio Affari Esteri dopo un sostanziale via libera nella riunione di oggi» ha detto il ministro, aggiungendo che per l'Italia l'operazione «può comprendere» anche la missione Emasoh/Agenor, nello stretto di Hormuz.
La presidenza Ue (belga) chiede il cessate il fuoco
«A nome del Belgio e della presidenza dell'Ue - ha detto la ministra degli Esteri del Belgio Hadja Lahbib - il messaggio che oggi porterò è chiaro: noi chiediamo un cessate il fuoco immediato, la liberazione degli ostaggi, il rispetto del diritto internazionale, il ritorno al processo di pace che deve portare alla creazione dei due Stati». «C'è un chiaro rischio di regionalizzazione del conflitto - aggiunge -. Serve che la violenza cessi anche in Cisgiordania. Ci auguriamo di poter organizzare a Bruxelles, in un futuro più o meno prossimo, una conferenza di pace che possa veramente rilanciare il dialogo politico».
Madrid: «Cisgiordania e Gaza siano collegate da un corridoio»
Uno dei primi Paesi europei che, fin dall'inizio del conflitto, si sono espressi a favore della creazione di uno Stato palestinese è la Spagna. Il ministro degli Esteri, José Albares Bueno, sollecita un cessate il fuoco permanente nella Striscia di Gaza. «Serve uno Stato palestinese con Cisgiordania e Gaza, collegate da un corridoio, per avere continuità territoriale. Il popolo palestinese e quello israeliano hanno esattamente lo stesso diritto di vivere in pace e in sicurezza». «La pace e la sicurezza dei popoli del Medio Oriente - aggiunge - passano per la creazione di uno Stato palestinese, con accesso al mare e capitale a Gerusalemme Est».
La guerra: l'esercito circonda l'ospedale di Khan Yunis, 25.300 morti
Tensione elevata oggi a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, mentre le forze israeliane avanzano gradualmente verso ovest, in direzione del mare, e verso sud, in direzione di Rafah. Secondo la radio militare l'esercito ha circondato l'ospedale Nasser e sta completando l'isolamento del centro della città. Stretto d'assedio dai carri armati anche l'edificio centrale della Mezzaluna Rossa, un palazzo di otto piani: paralizzate tutte le attività, incluse quelle delle ambulanze. Tiratori scelti sono appostati sui tetti di edifici vicini. Fonti locali aggiungono che nelle immediate vicinanze ci sono migliaia di sfollati, che non possono più spostarsi in alcuna direzione. Ci sarebbero anche corpi di persone. Le truppe hanno raggiunto anche l'università al-Aqsa e sono a un chilometro dall'area umanitaria di Moassi, in prossimità del mare, dove si trovano centinaia di migliaia di sfollati.
L'ultimo aggiornamento del bilancio delle vittime, fornito come sempre dal ministero della Sanità di Gaza controllato da Hamas, è di 25.295 morti accertati e 63mila feriti. Non tiene conto del numero dei dispersi, stimato in migliaia di persone sepolte sotto le macerie. In 24 ore sarebbero state uccise 190 persone, e 340 ferite.
Palestinesi in fuga dal campo profughi Khan Yunis all'avvicinarsi dei combattimenti di terra - Reuters
Israele, critiche al governo. La protesta dei familiari degli ostaggi
Decine di manifestanti hanno fatto irruzione alla Knesset (il Parlamento israeliano) per chiedere nuove elezioni, accusando i partiti della coalizione al potere di essere «traditori che hanno rinunciato agli ostaggi». La notte scorsa, un gruppo di familiari degli ostaggi si è accampato fuori dalla residenza a Gerusalemme di Netanyahu, esortandolo a trovare un accordo che assicuri il ritorno a casa dei 132.
E per la prima volta dall'inizio della guerra la Knesset ha votato una mozione di sfiducia al governo. Presentata dai Laburisti, che hanno solo 4 seggi su 120, non ha superato la soglia dei 61 voti necessari a mettere in crisi l'esecutivo anche se ha ricevuto 18 voti a favore e nessuno contrario. La coalizione di maggioranza non ha infatti votato, lasciando l'aula. Alcuni familiari dei rapiti - presenti nella parte del pubblico - hanno inveito contro il rappresentante del governo, la ministra Mai Golan. La richiesta era infatti motivata con il «fallimento (del governo Netanyahu, ndr) nel riportare a casa gli ostaggi».
Il principale partito di opposizione, Yesh Atid di Yair Lapid, ha esortato Netanyahu a scegliere lui stesso una data per nuove elezioni. «Ci vorrà un altro mese, altri due mesi. Alla fine arriverà. Ci sono abbastanza persone nella vostra coalizione che non ce la fanno più» ha detto Lapid.
Avigdor Liberman, leader di Yisrael Beitenu, si è detto contrario a nuove elezioni, perché in questo momento «serve unità» e «non guerre tra ebrei». Se la destra vuole restare al potere, l'unica strada è mollare il primo ministro, ha aggiunto. Se Netanyahu «avesse un briciolo di coscienza e fosse in grado di assumersi la responsabilità, si dimetterebbe».
Secondo indiscrezioni di media, in una riunione del suo partito Otzma Yehudit (di estrema destra) il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir avrebbe detto che se la guerra finisse il governo cadrebbe. Ben-Gvir si oppone strenuamente a qualsiasi accordo per un cessate il fuoco e a qualsiasi allentamento della pressione militare su Hamas, fino alla sua completa distruzione.