Ucraina. Orikhiv, la città sul fronte di Zaporizhzhia che i russi stanno per cancellare
Non c’è più neppure il posto di blocco prima del ponte sul fiume Konka che conduce alle prime case. Del resto a che cosa serve un check-point se restano da presidiare solo macerie, strade fantasma e un cielo da cui continuano a piovere bombe e colpi d’artiglieria? È ormai una “non città” Orikhiv, l’ultima prima della linea di combattimento nella regione di Zaporizhzhia. L’esercito russo è a cinque chilometri intorno a Robotyne, il villaggio conteso: quello che il Cremlino ha annunciato di aver conquistato a fine febbraio; quello che le forze armate di Kiev sostengono sia ancora nelle proprie mani e venga difeso a denti stretti dalle offensive a ripetizione. «I russi hanno concentrato più truppe sulla direttrice di Orikhiv che di Avdiivka - spiega il portavoce del gruppo operativo strategico, Dmytro Lykhovii -. L’obiettivo è ottenere un nuovo successo facendo irruzione nell’area, come accaduto ad Avdiivka». Avdiivka, la località nell’oblast di Donetsk strappata a Kiev prima delle elezioni presidenziali di metà marzo che Putin ha esibito come trofeo nell’urna del voto.
I condomini bombardati a Orikhiv lungo il fronte di Zaporizhzhia - Gambassi
Una bandiera gialla e blu annuncia alle porte di Orikhiv che la città è ancora sotto il controllo ucraino. È stata piantata fra le rovine di un condominio di cinque piani di cui resta in piedi, quasi per miracolo, un brandello di facciata staccata dagli appartamenti recisi dai bombardamenti. «Il 99% del perimetro urbano è stato colpito. Non ci sono edifici ancora intatti», avverte il capo della polizia, Vasyl Zavarskyi.
La distruzione nel centro di Orikhiv: l'esercito russo è a cinque chilometri dalla città - Gambassi
E dire che qui vivevano in 14mila prima della guerra. Ma fin dall’inizio dell’invasione Orikhiv è finita sotto il fuoco di Mosca. Due anni di attacchi. E nelle ultime settimane l’accanimento che ne ha fatto un campo di battaglia anche senza che i combattimenti siano arrivati nel centro storico. Come per Mariupol, Bakhmut o Avdiivka, il macabro orologio del conflitto segna adesso l’ora della devastazione. Radere al suolo tutto per annientare ogni parvenza di resistenza e cancellare qualsiasi traccia d’Ucraina prima dell’assalto finale.
La chiesa bombardata nel centro di Orikhiv - Ansa
Ci viene concessa una finestra di quindici minuti per muoverci lungo le vie di Orikhiv. Deserte alle tre del pomeriggio. E strette in un silenzio sepolcrale rotto soltanto dalle raffiche d’artiglieria che rimbalzano dal fronte. Sventrata la chiesa che si incontra appena entrati. Distrutte le scuole, i negozi, i centri commerciali: uno dopo l’altro. Lungo le strade i cavalli di Frisia sono già piantati per tentare di bloccare i carri armati di Mosca. Nel quartiere residenziale interi blocchi dei palazzoni sovietici sono implosi e crollati. «Qui stava la famiglia di un nostro animatore parrocchiale», racconta suor Lucia, la religiosa greco-cattolica di San Basilio che sfida i battaglioni di Putin pur di portare cibo e generi di prima necessità agli irriducibili rimasti in mezzo all’inferno russo.
I condomini bombardati a Orikhiv lungo il fronte di Zaporizhzhia - Gambassi
Non a Orikhiv, di fatto una città morta, ma nei villaggi oltre il Konka che, stando all’immaginario locale, è la frontiera della sicurezza. Più illusoria che reale. Perché gli abitati-satellite sono anch’essi sfregiati e sempre sotto tiro. «Ma nelle case lasciate vuote da chi è fuggito hanno trovato rifugio i residenti di Orikhiv che non se ne vogliono andare», racconta la segretaria comunale Natalia Osipova. Per lo più anziani. E poi poveri. Anche la sua villetta è stata colpita. Manca una parte del tetto. E mancano i vetri alle finestre, andati in frantumi per una delle esplosioni che si susseguono ogni giorno.
Natalia Osipova, segretaria comunale nei villaggi intorno a Orikhiv - Gambassi
Natalia ha trasferito a Zaporizhzhia la madre di 82 anni. «E come municipio abbiamo organizzato l’evacuazione delle famiglie con i bambini: troppo rischioso vivere qui», racconta. Restano in 512 nel suo paesino che fa da riferimento per altri quattordici insediamenti: li abitavano in 6mila fino al febbraio 2022. «Rimango per dare l’esempio - aggiunge -. Come faccio ad abbandonare la mia gente?». Vale anche per il marito che con il suo furgoncino trasporta il pane da Zaporizhzhia. «L’elettricità va e viene. Il gas non c’è dall’inizio della guerra: la stazione di distribuzione è nella zona controllata dai russi che l’hanno subito isolata; e anche le condutture sono state fatte saltare».
La distruzione nei villaggi intorno a Orikhiv - Gambassi
Si cucina con la legna. Si beve l’acqua dei pozzi. Si coltiva qualcosa negli orti. Si sopravvive con gli aiuti umanitari. E si attende la sorte. «Ormai i territori occupati sono persi. Impossibile riprenderli. Però grazie a Dio noi resistiamo», sostiene Mikola Petrovic. Ha 71 anni. E la casa bombardata, come tutte quelle vicine. «E dove altro potrei andare? Prendo 3mila grivnia di pensione al mese e a Zaporizhzhia l’affitto minimo è di 8mila...».
Mikola Petrovic che vive nei villaggi intorno a Orikhiv - Gambassi
La moglie Olena fa avanti e indietro. «Quando si intensificano gli attacchi, corre via». Con lei la sorella. «Viveva a Orikhiv. La sua abitazione non esiste più. Sta un po’ qui, un po’ nella metropoli». Mikola scende dall’auto: una Lada 1300 color arancione. «Tutti e tre i miei nipoti sono arruolati: uno combatte a Avdiivka; l’altro a Kherson; il più giovane, di 22 anni, è in addestramento a Ivano-Frankivsk». Una pausa. «Ho già pronto il fucile se i russi dovessero entrare. Abbiamo assaporato la libertà dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Non vogliamo perderla di nuovo».
Vladimir Patrolovick e la moglie Olga nel sotterraneo della loro casa bombardata intorno a Orikhiv - Gambassi
Ecco perché c’è chi prova quasi vergogna ad avere radici a Mosca. «Siamo di sangue misto: metà ucraino, metà russo», ammettono i coniugi Patrolovick. Storie simili per Vladimir e la moglie Olga. Entrambi con la madre ucraina e il padre russo. Il loro matrimonio a Zaporizhzhia. E adesso la vita da pensionati nel sottosuolo. Dentro la cantina seminterrata accanto alla loro casetta. «È stata colpita da due missili. E sulla rimessa è finita a dicembre una bomba a grappolo. Siamo vivi perché eravamo nella stanzetta sotto». Quella dove hanno sistemano «i lettini che erano dei nostri figli», raccontano; dove una tv a tubo catodico li tiene uniti al mondo; dove una stufetta li ha salvati dal gelo in inverno. «Questa è la nostra terra. Non la lasciamo - sospirano -. Abbiamo ancora parenti in Russia. Alcuni ci confidano di essere accanto all’Ucraina e di considerare l’invasione un errore. Alla fine c’è voglia di pace. E un comune desiderio che la guerra finisca al più presto».
Gli irriducibili che vivono lungo il fronte di Zaporizhzhia nei villaggi intorno a Orikhiv - Gambassi