Ucraina. Sigilli al “Vaticano” della Chiesa ortodossa accusata di essere filo-russa
Le proteste a marzo contro la cacciata dei sacerdoti a Pechersk-Lavra, il “Monastero delle grotte” di Kiev
Sigilli al “Vaticano” della Chiesa ortodossa dell’Ucraina che affonda le sue radici nel patriarcato di Mosca. Il ministero della Cultura che ha in mano la proprietà dell’area ha comunicato che da lunedì 4 luglio inizieranno le operazioni per serrare gli edifici della fortezza religiosa di Pechersk-Lavra. Due parole che stanno per “Monastero delle grotte” e che indicano nel centro di Kiev uno dei polmoni storici della spiritualità ortodossa slava. Via i monaci che risiedono nella cittadella dell’anima fondata mille anni fa e che fanno di Pechersk-Lavra il cuore della maggiore confessione del Paese, accusata però di prossimità al nemico.
I fedeli a Pechersk-Lavra, il “Monastero delle grotte” di Kiev - Gambassi
La lettera datata 30 giugno 2023 e inviata dalle autorità nazionali è stata recapitata all’indirizzo della Santa Assunzione di Pechersk-Lavra, sede legale della Chiesa ritenuta di essere filorussa. Nel testo si spiega che una commissione creata dallo Stato apporrà i sigilli a una serie di stabili, informa il dipartimento per l’informazione della Chiesa ortodossa ucraina. E viene chiesto ai religiosi di liberare i locali e consegnare le chiavi: in caso di opposizione, le serrature verranno sostituite e i locali piombati. L’ufficio legale della Chiesa ortodossa ha già impugnato in tribunale il provvedimento della scorsa primavera che stabilisce la risoluzione unilaterale del contratto di concessione del monastero alla comunità ecclesiale sotto scacco, ma i giudici non si sono ancora pronunciati. «Di conseguenza - spiegano gli avvocati - non hanno alcun fondamento legale le azioni e la richiesta di liberare gli edifici e di consegnare le chiavi». Atti che vengono definiti «illegali».
I sacerdoti e i fedeli a Pechersk-Lavra, il “Monastero delle grotte” di Kiev - Gambassi
È un braccio di ferro che va avanti da mesi quello fra il governo e la Chiesa ritenuta “moscovita” e che ha come sfondo anche il celebre santuario della capitale dove si trovano 220 monaci, 300 studenti di teologia, le strutture di governo della comunità ecclesiale e la residenza del metropolita Onufrij, capo della Chiesa ortodossa dell’Ucraina. Una Chiesa che ha visto alcuni suoi membri finire indagati per collaborazionismo, chiese e monasteri perquisiti (in cui è stato trovato materiale russo), proteste per le cacciate dei sacerdoti dalle parrocchie. Agli arresti è finito anche uno dei volti più noti del santuario, il metropolita Pavlo, soprannominato “Pasha Mercedes” per la sua passione del lusso.
Una celebrazione a Pechersk-Lavra, il “Monastero delle grotte” di Kiev - Gambassi
Le proteste hanno avuto un trampolino proprio a Lavra dove a gennaio il governo ha chiuso le due maggiori chiese. Poi lo schiaffo al monastero che è monumento nazionale: a inizio marzo il ministero della Cultura ha annullato il contratto di affidamento. Una decisione che ha innescato continue manifestazioni a sostegno del clero destinato a essere allontanato dalla “collina verso il cielo” lungo il fiume Dnepr che deve il suo nome alle cavità in cui sono custodite le reliquie dei santi monaci. A migliaia hanno sfidato gli agenti di polizia e poi i contro-manifestanti che appoggiavano la decisione governativa.
Le proteste a marzo contro la cacciata dei sacerdoti a Pechersk-Lavra, il “Monastero delle grotte” di Kiev - Gambassi
L’espulsione dei sacerdoti che era fissato per la fine di marzo, a ridosso della Pasqua, è stato bloccato dai fedeli che hanno presidiato per giorni e notti i cancelli. Adesso lo Stato torna alla carica. E con il nuovo ultimatum torna l’accusa al governo di favorire la Chiesa ortodossa “scissionista” di Epifanij che si è staccata da quella di matrice russa nel 2018 ricevendo il riconoscimento del patriarcato ecumenico di Costantinopoli e che piace a Zelensky e al suo entourage tanto da volerle concedere l’ambito Monastero delle grotte.