Reportage. La salvezza di Kharkiv dipende dai piccoli villaggi che resistono ai russi
Il villaggio di Shestakove nella direttrice di Vovchansk, la cittadina al centro dell'offensiva russa contro Kharkiv
«È un piccolo terremoto Maxim». Nonna Rita sorride mentre prova a tenere fermo il nipotino. Occhi azzurri, capelli cortissimi e una croce che gli scende sul petto da un cordoncino color amaranto, ha poco più di due anni. Nato il terzo mese di guerra. E a «Vovchansk», si legge nel certificato che Rita Omelcenko tira fuori dalla tasca. La città che da qualche settimana non esiste più. Rasa al suolo dall’esercito di Mosca nell’offensiva che il Cremlino ha lanciato a maggio contro Kharkiv, la seconda città dell’Ucraina a cinquanta chilometri dal confine russo. Le truppe di Putin non sono riuscite ancora a conquistare Vovchansk dove restano 50 persone su 17mila, secondo le autorità locali. «Ma l’hanno completamente distrutta», conferma nonna Rita. È a trenta chilometri dal villaggio di Shestakove dove la famiglia Omelcenko vive. «Maxim è stato partorito mentre il nostro territorio era occupato, fra febbraio e maggio 2022 - ripercorre la donna -. È stato quasi un miracolo che mia figlia sia riuscita a raggiunge l’ospedale di Vovchansk. I soldati ci avevano sequestrati dentro il villaggio. Chiuse tutte le vie». Prigionieri di Mosca. Come potrebbe accadere di nuovo se i battaglioni nemici riuscissero a rompere il cordone difensivo dell’esercito ucraino e a ripercorrere la stessa strada che li aveva portati fino a Shestakove: quella che parte dalla frontiera russa, passa da Vovchansk ormai accerchiata e arriva a Kharkiv, a trenta chilometri dall’abitato.
Rita Omelcenko con i nipotini nel negozio di alimentari del villaggio di Shestakove nella regione di Kharkiv - Gambassi
Stessa distanza che oggi divide il paesino dalle truppe di Putin tornate a strappare territori e agglomerati intorno all’ex capitale. Nuove trincee e bunker corrono a ridosso di Shestakove. Sono le fortificazioni già realizzate o ancora in costruzione che faranno da barriera in caso di avanzata russa. A riprova di quanto sia considerato a rischio questo angolo della regione. Eppure il villaggio già vive l’incubo russo. Perché appena quindici chilometri lo separano dal confine. Non c’è l’assedio via terra, ma quello dal cielo sì. «E gran parte delle nostre case è stata bombardata», spiega l’energica vice-sindaco di 59 anni, Ludmila Konovalova. In ottocento lo abitavano prima del conflitto. «Oggi siamo a 438 residenti censiti», precisa. Il municipio è un rudere. «Attaccato in modo brutale», sostiene l’amministratrice locale.
Natalia Treubonava ha la casa distrutta dei missili russi nel villaggio di Shestakove - Gambassi
Così il riferimento è diventato l’ex ufficio postale dove sventola una bandiera lisa dell’Ucraina. Il governo l’ha consegnato al Comune per farne un punto d’accoglienza e di rifugio. E un hub per gli aiuti umanitari che arrivano anche grazie alla Chiesa greco-cattolica. «I generi di prima necessità restano un’urgenza per chi vive sotto le bombe», osserva suor Oleksia, religiosa di San Giuseppe, che ha portato qui anche un carico di “Frontiere di pace”, l’associazione della parrocchia di Maccio, nella diocesi di Como, che fin dall’inizio dell’aggressione è accanto alla gente e ha già compiuto 29 missioni nel Paese invaso. «Soltanto ieri sono piombati nel villaggio quattro missili», riferisce la vice-sindaco. Nessun morto. Però altra distruzione, secondo una tattica del Cremlino ormai consolidata: devastare tutto per aprire la strada all’assalto con uomini e mezzi. Come avviene a Vovchansk. «Siamo consapevoli che la situazione stia peggiorando e che i pericoli siano sempre maggiori - prosegue -. Ma abbiamo il diritto e il dovere di resistere». Anche in mezzo alla furia russa che si abbatte su un insediamento perso fra le campagne dell’estremo oriente dell’Ucraina.
L'arrivo degli aiuti umanitari nel villaggio di Shestakove lungo la frontiera russa e a ridosso del fronte nella direttrice di Vovchansk - Gambassi
La regione russa di Belgorod si intravede al di là delle colline che a nord circondano l’abitato. Ed è da lì che partono i raid. «Anch’io ho la casa abbattuta», racconta Natalia Treubonava. Assieme ai due figli di dodici e diciotto anni, fa la spola con Kharkiv dove ha trovato da vivere. «Impossibile ripararla. E fra i detriti ci sono ancora i resti dei tre missili che l’hanno colpita. È anche rischioso avvicinarsi», avverte. Però passa le giornate nella tenda-appartamento che lo Stato le ha piantato nel giardino. «Perché resto anche se è tutto in rovina? Perché qui c’è la mia casa e questa è la mia terra». C’è chi è riuscito a risistemare le stanze sfregiate dalle esplosioni: assi di legno al posto delle finestre andate in frantumi e teloni dell’Onu in nailon che hanno sostituito i tetti crollati.
Ludmila Konovalova, la vice-sindaco del villaggio di Shestakove lungo la frontiera russa e a ridosso del fronte nella direttrice di Vovchansk - Gambassi
Rimangono per lo più gli anziani a Shestakove. «Ma anche famiglie con bambini: i genitori lavorano a Kharkiv e la sera tornano qui», spiega la vice-sindaco. Come le figlie di Rina. Lei, invece, uno stipendio ce l’ha in paese: quello di commessa in uno dei due negozietti di alimentari ancora aperti. «Ma prima ero un’impiegata nella fattoria». Come tutti chiamano la grande azienda agricola che dava lavoro alla comunità. È ormai il simbolo dell’accanimento russo sul villaggio. «L’hanno bombardata fin da subito. Poi è stata riassettata e ha ripreso a funzionare. Ed è stata attaccata ancora». Insensato ricostruirla di nuovo. Restano i capannoni distrutti; le carcasse degli animali uccisi negli allevamenti; i campi infestati di mine che i militari di Mosca hanno lasciato prima della ritirata nella primavera del 2022 così da renderli inutilizzabili. «La fattoria era stata anche il nostro riparo durante il periodo buio dell’occupazione - fa sapere Rina -. E lì dentro sono stata ferita dalle schegge quando è arrivato l’ennesimo razzo».
L'azienda agricola distrutta dalle bombe russe che dava lavoro al villaggio di Shestakove nella regione di Kharkiv - Gambassi
Si intrecciano le ferite del passato e del presente a Shestakove, una manciata di case fra un reticolo di vie in terra battuta. La scuola e l’ambulatorio sono stati fatti saltare in aria dalle truppe di Putin alla vigilia della liberazione. «Li avevano trasformati in deposito di armi», rivela la commessa. Oggi a far tremare sono le «bombe telecomandate, i droni russi che dal cielo ci sorvegliano e le spie che passano informazioni al nemico», sottolinea Ludmila.
Il villaggio di Shestakove nella direttrice di Vovchansk, la cittadina al centro dell'offensiva russa contro Kharkiv - Gambassi
Uno solo è il punto d’accesso al villaggio: l’incrocio che si affaccia sulla provinciale per Kharkiv. Ancora lo presidiano i “cavalli di Frisia” in ferro che dovrebbero bloccare i carri armati. «Sappiamo bene che cosa significa finire sotto i russi - dice la vice-sindaco -. Ecco perché c’è paura che ritornino». Dietro il bancone, Rina sistema i formaggi. Un tonfo sordo rompe il silenzio. «Un altro bombardamento nei dintorni. Ma perché i russi ci stanno rovinando la vita?». Non pensa solo a se stessa. «Il marito di mia sorella è stato ucciso in battaglia. E uno dei miei generi è al fronte». Poi la mente va ai piccoli della famiglia. «Mia nipote ha sei anni. Inizierà la scuola a settembre, ma qui è solo online. Che cosa mai potrà imparare stando davanti a un computer? E quale sarà il suo futuro?».