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Ucraina. «Io, parroco sotto le bombe, fra la gente che non ha più la casa e ha fame»

Giacomo Gambassi, inviato a Izyum mercoledì 15 novembre 2023

La distribuzione del cibo fra le strade di Izyum, la città della più grande fossa comune nella regione di Kharkiv nell'est dell'Ucraina

Alle sei della sera, quando nell’estremo oriente dell’Ucraina il sole è già tramontato da un pezzo, si accendono le luci del piccolo stadio. Gli spogliatoi non esistono più. Così come non ci sono divise. È già manna dal cielo avere una tuta per giocare. Mentre le due squadre senza età scendono in campo, il pubblico si raduna intorno alle recinzioni. Una trentina di spettatori, non di più. Quasi una sfida al divieto di assembramento imposto dalla guerra. Prova a darsi una parvenza di normalità Izyum, la cittadina devastata dalla furia dell’esercito russo dove è stata scoperta la più grande fossa comune dall’inizio dell’invasione voluta da Putin. Più di quattrocento corpi nascosti dentro un bosco che raccontano i sei mesi di occupazione nell’ultimo lembo della regione di Kharkiv verso il Donbass. Accanto al campo sportivo il centro culturale mostra i colpi d’artiglieria che hanno trafitto le sue mura. E la strada principale è un susseguirsi di cumuli di macerie al posto delle abitazioni e dei negozi. «C’è chi ha resistito all’occupazione e non se n’è mai andato; chi è tornato dopo la liberazione. Ma qui la situazione rimane drammatica – racconta il parroco greco-cattolico don Petro Maika –. La gente viene da me e piange. “Abbiamo le case distrutte. Ci mancano le finestre. I bambini non hanno vestiti”, mi sento ripetere. Le mamme chiedono abiti; i padri qualcosa per riparare gli spazi dove vivono. L’inverno è alle porte. “Abbiamo paura del freddo”, dicono tutti. E domandano stufe o legna». Una pausa. «Non sono in grado di promettere nulla. “Vi darò tutto ciò che mi portano”, rispondo ogni volta».

Il parroco greco-cattolico di Izyum, don Petro Maika, mentre porta gli aiuti ai poveri di guerra - Gambassi

Anche lui condivide la sorte della sua comunità ferita. Per mesi ha dormito al gelo sul divano in una stanza con le crepe alle pareti e le assi di legno alle finestre. Povero fra i poveri. L’appartamento è a piano terra di un condominio di stile sovietico in via Nezalezhnosti. Oltre un piccolo corridoio, il salone è in condizioni ancora peggiori. «Perché ci è arrivata l’onda d’urto del missile piombato sul complesso industriale di fronte», spiega don Petro mentre indica dall’altra parte della strada una lastra di cemento che ancora penzola sul marciapiede dallo stabilimento di produzione militare colpito seicento giorni fa. Anche se si è trasferito quattro piani sopra, la sua casa rimane quella in cui si accede da una manciata di gradini. «Ed è qui, dove ci sono i segni dei bombardamenti, che nascerà la prima cappella cattolica di Izyum», annuncia. Perché la Chiesa greco-cattolica ha scelto di iniziare ad “abitare” in città dopo la liberazione avvenuta nel settembre 2022. «Vogliamo essere un segno di speranza», afferma don Petro che a 49 anni ha lasciato la più sicura regione di Ternopil, nell’ovest del Paese, per essere prete di frontiera.

Don Petro Maika nella stanza danneggiata da un missile dove nascerà la prima cappella cattolica di Izyum - Gambassi

Il primo parroco si sarebbe dovuto insediare una volta costruita la chiesa. «Le autorità ci avevano concesso il terreno prima della guerra. Volevamo aprire il cantiere». Adesso l’appezzamento è infestato di mine. «Chissà quando verrà bonificato…», sospira il sacerdote. A presidiarlo una tenda blu della Caritas Ucraina che fa anche da hub umanitario e da oratorio per i ragazzi. «Ma il parroco è arrivato comunque», sorride don Petro. Un anno fa. E nell’appartamento sfregiato ha celebrato la prima Messa su un tavolino. «La cappella vedrà la luce grazie all’Italia e al gruppo “Frontiere di pace” di Maccio, in provincia di Como, che ci sostiene nei lavori», precisa.

La tenda della Caritas che presidia il terreno infestato di mine dai russi dove dovrebbe nascere la nuova chiesa - Gambassi

​Le macchie di fango sulla tonaca testimoniano la vicinanza a un popolo tenace ma stanco. «Il lavoro non c’è. Al massimo si mettono insieme pochi soldi pulendo le strade o vendendo qualcosa al mercato – riferisce il parroco –. I bambini non vanno a scuola: solo lezioni online e quando la connessione funziona». Poi aggiunge: «Sappiamo di essere una città non solo provata ma di nuovo a rischio». L’esercito russo lancia costanti offensive lungo la direttrice fra Kupiansk e Lyman. Le forze armate ucraine ne hanno respinte nove nelle ultime 24 ore. E, se i soldati del Cremlino riuscissero ad avanzare, la tappa successiva sarebbe proprio Izyum per poi puntare verso Kharkiv, seconda metropoli del Paese. Intanto la cittadina col suo distretto continua a essere presa di mira dai missili. «Il male non può avere l’ultima parola – conclude don Petro –. La gente stringe i denti e attende la pace».

Lo stabilimento di Izyum devastato da un missile russo davanti alla casa del parroco - Gambassi