Reportage. L'incubo russo su Kramatorsk, l'ultima grande città libera del Donbass
«Meglio non pensarci…». Mykola Khemii prova ad allontanare l’incubo che incombe sulla città dove è nato e dove ha scelto di tornare: l’assedio dell’esercito di Vladimir Putin. Occhi azzurri, barba più da monaco che da volontario accanto ai bambini, sa che Kramatorsk è di nuovo nel mirino di Mosca nonostante «siano diminuiti i bombardamenti», spiega con un accenno di sorriso che ha un non so che di scaramantico. È consapevole che non si tratta né di una boccata d’ossigeno, né della quiete dopo la tempesta. Anzi, i segnali che arrivano dai campi di combattimento dicono altro.
Mykola Khemii, volontario che aiuta gli sfollati e i bambini a Kramatorsk - Gambassi
Le truppe del nemico avanzano. Bakhmut, caduta in mano russa quasi un anno fa dopo una delle più feroci battaglie dall’inizio dell’invasione, è a quaranta chilometri. E ora i battaglioni del Cremlino intendono impossessarsi di Chasiv Yar, il villaggio-vedetta sulla collina ormai rasa al suolo che, se venisse conquistata, aprirebbe la strada verso le principali località della regione di Donetsk ancora sotto il controllo di Kiev. A cominciare da Kramatorsk, l’ultima grande città dell’estremo oriente del Paese su cui continua a sventolare la bandiera ucraina prima del fronte e del Donbass occupato dalla Russia.
L'ingresso nella regione di Donetsk - Gambassi
«Vivo e viviamo alla giornata», confida Mykola. Un “carpe diem” che è la regola per i 50mila irriducibili rimasti nel capoluogo di un distretto dove le miniere, la siderurgia e le strade ferrate hanno segnato gli ultimi decenni di storia. Un terzo di quelli che l’abitavano prima della guerra. Oggi i “sopravvissuti” sono per lo più militari che fanno avanti e indietro con le trincee o sfollati costretti ad abbandonare gli agglomerati troppi vicini all’inferno russo.
Si vive nascosti a Kramatorsk: le strade sono per lo più deserte - Gambassi
Anche due anni fa, nelle prime settimane di aggressione, Kramatorsk era la città della fuga dai soldati di Mosca. Con la sua stazione ferroviaria presa d’assalto dall’intera oblast per raggiungere il resto dell’Ucraina. «Era e rimane uno snodo strategico», sostiene Mykola. Una laurea in tasca e il sogno della ricerca, aveva deciso all’inizio del conflitto di mettersi a servizio delle migliaia di persone pronte a salire sui treni della salvezza per evacuare e lasciarsi alle spalle il Donetsk invaso. «Avevamo allestito tre sale d’aspetto in base all’età: una per le mamme con bambini; una per gli anziani; una per i disabili o i malati. Facevamo entrare duecento rifugiati in ciascuna carrozza». Giorno dopo giorno. Fino all’8 aprile 2022 quando una bomba a grappolo è piombata sul primo binario in mezzo a 4mila profughi facendo 61 morti, fra cui sette bambini.
Il memoriale della strage degli sfollati alla stazione di Kramatorsk: nell'aprile 2022 un missile russo ha ucciso 61 profughi che attendevano i treni della salvezza - Gambassi
La città ha appena commemorato il secondo anniversario della «strage degli innocenti», come qui viene chiamata. Sul marciapiede che corre a fianco delle rotaie la cavità lasciata dall’impatto e una raggiera di piccole fessure incise dalle schegge raccontano a futura memoria il massacro. E il missile recuperato mostra ancora la macabra scritta: “Per i bambini”. «Qui verrà eretto un monumento in onore delle vittime e dei feriti dovuti alla ferocia russa», annuncia una lapide ai piedi della cancellata dove mani anonime continuano a lasciare fiori e peluche in ricordo di chi è stato ucciso. «Dovevo esserci anch’io quella mattina», dice Mykola quasi con senso di colpa. Perché, mentre il razzo cadeva, lui era ad accompagnare il nonno sull’autobus degli infermi diretto a Kiev. «Il telefono ha cominciato a squillare. Mi rifiutavo di credere che i russi avessero lanciato un missile sui civili. Ho chiamato Roman. Non rispondeva». Volontario come lui fra gli sfollati. Avrebbe scoperto poco dopo che era una delle vittime. Roman Sementsov aveva 40 anni. «Uomo di fede, citava spesso la Bibbia per sostenere con parole di speranza la popolazione. E nella stazione ho perso anche una mia compagna di banco che voleva solo conservare la sua libertà e quella dei figli».
Gli addii e le lacrime alla stazione di Kramatorsk - Ansa
La stazione resta lo scalo di frontiera per l’intero Donbass. E un crocevia sensibile. Tanto che i treni partono non più dal primo binario, davanti all’edificio principale, ma da quelli centrali. E con due convogli merci che li custodiscono: entrambi posizionati accanto ai finestrini. «In caso di bombardamento sulle rotaie i passeggeri sono protetti dall’onda d’urto», riferisce il giovane. La banchina è ancora l’angolo degli addii e delle lacrime: quelle versate da chi lascia una zona ormai sempre più in bilico; quelle delle mogli o delle fidanzate dei soldati che tornano nelle aree di combattimento dopo un paio di giorni di licenza trascorsi insieme.
Uno degli attacchi russi a Kramatorsk - Ansa
Anche Mykola se n’era andato. «Troppo il dolore dopo il massacro», ammette. A Leopoli aveva trovato lavoro nel dipartimento universitario di archeologia. «Ma non riuscivo a togliermi dalla testa Kramatorsk». La sua terra. Ed eccolo di nuovo qui, animatore di “Tato hub”. È la Ong che gestisce l’unico centro dedicato ai piccoli a ridosso del fronte e riaperto nel cuore della città fra i condomini dove le finestre sono sostituite dalle assi di legno e le facciate sfregiate dai raid che hanno distrutto interi isolati. «Vogliamo essere uno spiraglio di luce in mezzo alle tenebre - sottolinea il responsabile Oleksandr Ivanov -. Del resto ci sono ancora 7mila ragazzi. Tutti hanno traumi psicologici per la guerra, anche se talvolta i genitori non se ne rendono conto».
Oleksandr Ivanov, responsabile della Ogn “Tato hub” a Kramatorsk - Gambassi
Nessuna scuola è aperta. Solo lezioni online. «E quando vengono a fare i compiti da noi, non sanno più tenere la penna in mano», aggiunge. Una pausa. «È difficile vivere lontano da casa: in altre regioni del Paese o all’estero. “Non c’è lavoro ovunque ma almeno qui non devi pagare l’affitto”, ti dicono i genitori rimasti in città che magari non pensano troppo alla sicurezza dei figli». Non è un caso che l’hub sia impegnato anche nell’evacuazione dei bambini dagli insediamenti in prima linea. «Lì si vive una vera emergenza: ragazzi senza più istruzione e senza amici. Una nostra volontaria è stata uccisa in una missione umanitaria. Perciò ai padri e alle madri ripetiamo: andate via dalle zone calde».
Un bombardamento a Kramatorsk - Telegram
Dopo la capitolazione di Avdiivka, sempre nella regione di Donetsk, avvenuta a febbraio poco prima delle elezioni russe, il Cremlino ha spostato qui le truppe. È una città sospesa Kramatorsk. Come quelle del comprensorio. L’escalation su Chasiv Yar, che le forze armate ucraine si premuniscono di ribadire che sia in tutto e per tutto ucraina, e i costanti assalti verso Lyman, nell’ultimo lembo della regione verso Kharkiv, rischiano di stringerla in una tenaglia russa. E gli attacchi che continuano a bersagliarla l’hanno stremata.
il giovane cameriere Igor Ridosh che ha scelto di restare a Kramatorsk - Gambassi
Minacce che ne hanno fatto una città nascosta. Deserte le strade. Senza viaggiatori i bus che si fermano davanti a piccoli bunker in cemento armato al posto delle pensiline. Pochissimi i negozi aperti. Meno ancora i ristoranti. «Quello principale della nostra catena è stato devastato da un missile ipersonico», racconta il giovane cameriere Igor Ridosh. Undici i morti lo scorso giugno. Lui ha 19 anni e il suo caffè resiste fra i palazzoni d’impronta sovietica. Quasi in incognito, con le tapparelle abbassate e le luci soffuse per non dare nell’occhio e mimetizzare la presenza dei clienti. «La paura? Ormai ci convivo ma da qui non mi muovo».
Si vive nascosti a Kramatorsk: le strade sono per lo più deserte - Gambassi
Eppure c’è chi ha cambiato idea. Il pericolo russo comincia a svuotare l’ultimo segmento ucraino del Donatsk. «Avevamo 80 medici. Ne rimangono 30. E tutte le farmacie sono chiuse», spiega Olhe Kutska, responsabile dell’assistenza sanitaria a Druzkivka, città intorno a Kramatorsk che guarda verso la linea del fuoco. Accoglie già 5mila sfollati che hanno lasciato i villaggi più colpiti. E nei suoi ospedali vengono curati sia i militari feriti nei combattimenti, sia i civili che finiscono sotto le bombe: compresi quelli di Konstantinovka, la cittadina delle carneficine al mercato e alla stazione.
Olhe Kutska, responsabile dell’assistenza sanitaria a Druzkivka, città intorno a Kramatorsk - Gambassi
«Siamo già pronti a evacuare in caso di un’offensiva russa - avverte Olhe -. Abbiamo organizzato i piani per sgomberare i presidi sanitari e trasferire i pazienti». La dottoressa guarda dalle finestre del suo ufficio una colonna di fumo che in lontananza indica l’ennesimo punto di contatto fra i due eserciti. «Salvare le vite significa anche evitare che la nostra gente finisca sotto i russi», sospira. Soprattutto se la prospettiva è quella che Mosca si riprenda la città occupata per sei mesi dai filorussi agli esordi degli scontri in Donbass. Era il 2014. Dopo dieci anni Putin ambisce ancora a espugnare Kramatorsk.