Ucraina. Ospedali in allerta per la controffensiva. «Pronti a ondate di soldati feriti»
Il soccorso a un soldato ferito lungo la linea del fuoco a Bakhmut
È un piccolo bunker quello in cui passa le sue giornate Yanina Cnahovets. Blindato com’è blindato l’ospedale militare di Kharkiv: mimetizzato fra i palazzi; protetto da filo spinato, sacchi di sabbia e ricci anticarro; presidiato da uomini in divisa con i fucili a tracolla. Lo stanzone di Yanina non ha finestre ma soltanto una pesante porta rinforzata e una fessura sul muro con cui si comunica con l’esterno. Sopra un dipinto che sa di fumetto dove un uomo in mimetica accarezza una donna, anche lei in verde militare e con un elmetto da cui escono i lunghi capelli biondi.
Yanina Cnahovets (al centro) con i volontari ospedalieri nell'ospedale militare di Kharkiv - Gambassi
È dalla piccola apertura che si fanno sentire «in famiglia i soldati feriti», racconta Yanina che guida l’associazione “Sorelle della carità”. Nome che non racchiude un gruppo di stampo religioso, ma un sodalizio di volontari ospedalieri che da anni sono accanto alle forze armate in uno dei maggiori presidi sanitari dell’Ucraina e che da oltre quattrocento giorni, ossia da quando è iniziata l’invasione russa, sono gli angeli custodi di chi è stato colpito in prima linea nelle regioni più “calde” del Paese: Kharkiv, Donetsk e Lugansk. «Qui si giunge dal fronte. Non si ha nessuno al proprio fianco. Allora siamo noi a sostenerli con quello che abbiamo: un pigiama, la biancheria, una tuta, un caffè. E soprattutto con la nostra presenza in corsia. C’è bisogno di parole di conforto e di supporto psicologico quando si lotta fra la vita e la morte in un reparto», afferma Yanina. Voce energica e stile sbrigativo, si muove fra gli scaffali con una camicia a quadri e un paio di pantaloni di pelle nera.
Un medico militare su un'ambulanza dell'esercito ucraino lungo il fronte in Donbass - Ansa
Anche l’associazione di cui è la responsabile si sta preparando alla controffensiva. «I nostri militari sono in allerta e in grado di agire in ogni momento», dice forte delle informazioni che le arrivano dall’esercito. Ma al tempo stesso è consapevole che sarà un bagno di sangue. «Siamo pronti a far fronte a nuove, massicce ondate di feriti che nei prossimi mesi ci saranno». Per capire l’intensità degli scontri in oltre un anno di guerra, Yanina scorre i numeri dei pazienti in divisa passati dall’ospedale. «Fra settembre e ottobre, quando si è svolta la prima controffensiva che ha permesso di liberare anche i territori della nostra regione, abbiamo assistito a un’impennata di feriti». Poi le cifre sono calate. «Ma dall’inizio del 2023 gli arrivi sono saliti in modo evidente. E ancora adesso i ricoveri sono molto numerosi». Si tratta di chi combatte nei terreni che oggi sono gli epicentri della guerra, come Bakhmut. «Il nostro è un plesso storico: era già un presidio militare durante la seconda Guerra mondiale. Per questo le strutture sarebbero da riammodernare - fa sapere -. Ma uno dei principali problemi è quello dei farmaci. Prima dell’invasione, molti medicinali venivano dalla Russia. Ora potrebbero essere sostituiti con quelli prodotti in Italia, in Germania o in Gran Bretagna, che sono di gran lunga migliori. Però spesso non possono essere utilizzati: infatti non hanno l’autorizzazione del ministero della Sanità e quindi il loro impiego è vietato». L’ospedale è un polo di prima emergenza. «Si resta qui in media meno di una settimana», chiarisce. Il tempo di essere salvati.
Un militare ferito portato in un ospedale dell'Ucraina - Ansa
Nella sede dell’associazione si presenta il cappellano greco-cattolico. «Il Signore vi benedica», dice salutando i volontari. «Nove dei nostri ragazzi si sono arruolati», fa sapere la responsabile. E subito aggiunge: «Qui in ospedale sono stati messi al bando i sacerdoti della Chiesa del patriarcato di Mosca. È successo prima dell’aggressione su vasta scala. Già negli anni della guerra in Donbass, cominciata nel 2014, era accaduto che un cappellano avesse detto di militari ricoverati: “State combattendo contro i vostri fratelli. La Russia va sostenuta, non contrastata”. Ed era stato allontanato». Risale al 2019 la scelta del governo di chiudere la riabilitazione per aumentare i posti letto. «Una decisone sbagliata - sostiene Yanina -. Ce ne rendiamo conto adesso: si tratta di un servizio fondamentale per i militari feriti. Ecco perché siamo stati noi a creare un nuovo centro, pagato con soldi raccolti fra la gente, che si trova in un ex campus. Lo vogliamo ampliare: infatti c’è bisogno che a fianco dei soldati in cura ci siano anche le loro famiglie. E ormai sono sempre di più i nostri eroi che, quando il conflitto sarà finito, dovranno essere assistiti».