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Reportage. Donetsk, in fuga senza tregua dai russi. «Così i nostri paesi sono invasi»

Giacomo Gambassi, inviato a Kramatorsk giovedì 8 agosto 2024

Vittoria Litvinova in fuga dalla cittadina di New York, in Donbass, assediata dall’esercito russo

Dalla tasca tira fuori un mazzo di chiavi. «È tutto ciò che ci resta della nostra casa», sospira Victoria Litvinova. Al suo fianco ha il marito Artem. Senza entrambe le mani. «Le ho perso qualche anno fa mentre lavoravo in fabbrica», dice con tono quasi distaccato. «Ma sono state le gambe a salvami dai russi», aggiunge subito. Ironia amara quella dell’ex operaio di 47 anni per raccontare la fuga a piedi dall’esercito di Putin che si impossessa della loro cittadina. Cinque chilometri di «folle corsa» in mezzo ai colpi di cannone, alle raffiche dei fucili, ai bombardamenti, al fumo, pur di non finire sotto il «nemico», come i due coniugi lo definiscono. La guerra scava nelle coscienze e nelle menti, soprattutto quando l’ultima immagine che si ha del piccolo condominio in cui una coppia ha vissuto è quella dei militari del Cremlino che lo incendiano e delle fiamme che lo avvolgono. «Stavamo correndo. E quando ci siamo voltati indietro, tutto ciò che abbiamo visto era il nostro palazzo che bruciava», spiegano i coniugi Litvinova. Ultimi irriducibili a lasciare il loro quartiere «dove eravamo rimasti solo in venticinque».

Artem Litvinova fuggito e poi evacuato con la moglie Victoria dalla cittadina di New York, in Donbass, assediata dall’esercito russo - Dsns.Gov.Ua-Servizio emergenza Ucraina

Perché ciò di cui sono stati testimoni Victoria e Artem è l’ennesima avanzata delle truppe russe nella regione di Donetsk e dell’occupazione di parte di New York. «So che qualcuno storce il naso quando diciamo che i russi stanno conquistando New York», prova a scherzare Victoria. Nome che sembra quasi un errore nella toponomastica del Donbass e dell’estremo oriente dell’Ucraina. Ma la storia è quella di un agglomerato industriale nato nell’Ottocento come colonia di un’avanguardia di tedeschi che lo avevano battezzato prendendo spunto dall’origine americana della moglie di uno dei fondatori. Soltanto dal 2021 è tornato a chiamarsi come la metropoli statunitense, dopo che per 70 anni l’Urss aveva deciso comparisse sulle carte geografiche soltanto come Novhorodske. Nessun dispaccio conferma la caduta in mano russa dell’abitato dove, prima dell’invasione, vivevano in 10mila. Ma Victoria e Artem, che con altri dodici vicini di casa sono riusciti a mettersi in salvo, la danno quasi per certo. Un video diffuso da Mosca mostra la bandiera russa che sventola nel cuore della cittadina. Tuttavia i militari di Kiev sostengono di controllare almeno metà del territorio.

La cittadina di New York rasa al suolo dall'esercito russo - Deepstatemap.live

Mentre il macabro orologio dell’aggressione voluta da Putin si avvicina ai novecento giorni, è l’oblast di Donetsk quella su cui si accanisce il Cremlino. Si superano anche i 1.600 bombardamenti russi in un solo giorno nell’intera area, dicono le forze armate ucraine. Due terzi della regione è già sotto il controllo di Mosca. L’obiettivo del Cremlino è strappare a Kiev il resto del territorio. E calare l’“asso Donetsk” sul tavolo delle trattative quando mai si apriranno. Con una guerra di logoramento e con la “tattica della lumaca” che punta a conquistare poche centinaia di metri al giorno, i vertici militari russi intendono stringere in una tenaglia le due maggiori città dell’oblast rimaste ucraine: Kramatorsk e Pokrovsk.

La situazione militare nella regione di Donetsk secondo il sito deepstatemap.live - Deepstatemap.live

L’esercito di Mosca è a venti chilometri dalla prima e a quindici dalla seconda. Per raggiungerle i soldati si muovono lungo tre direttrici: quella di Lyman, la cittadina che da un anno è un campo di battaglia al confine con le regioni di Kharkiv e di Lugansk; quella della stessa Pokrovsk dove si concentrano gli sforzi russi con le truppe che avanzano dal capoluogo occupato di Donetsk e dove si registrano «le maggiori difficoltà» perché «il nemico ha dagli otto ai dieci combattenti per ogni soldato ucraino», fanno sapere dalla 47ª Brigata meccanizzata; e quella di Chasiv Yar, il paesino-vedetta sulla collina sopra Kramatorsk la cui caduta aprirebbe la strada agli uomini e ai mezzi di Putin verso la città.

La città di Pokrovsk, nella regione di Donetsk, verso cui avanza l'esercito russo - Reuters

Proprio New York è una delle località fra Pokrovsk e Chasiv Yar che l’armata russa vuole espugnare per innescare un effetto domino nella regione. «Stavamo benissimo qui - ripercorre Victoria -. La nostra piazza con i fiori; le sagre di paese; i concerti nella casa della cultura». Anche i dieci anni di conflitto in Donbass, iniziato nel 2014, avevano appena lambito la cittadina. E neppure la battaglia di Bakhmut, nel cui distretto si trova New York, con la sua capitolazione avvenuta nel 2023, era stata un terremoto. «Da sei mesi, però, tutto è cambiato. Siamo diventati un bersaglio». E da metà giugno la situazione è precipitata. «Siamo finiti sotto costanti attacchi - afferma Artem -. E per sopravvivere ci siamo rifugiati negli scantinati». Due letti. Un fornellino a gas. Il secchio come lavabo. «E i nostri due cani e due gatti». Un mese sottoterra. «E ogni sera arrivavano da noi i soldati ucraini di ritorno dal fronte. Dormivano nel seminterrato. E la mattina successiva ci salutavano dicendo: “Ci rivediamo stanotte”. Però molti non sono mai tornati». La coppia non va oltre. Ma la conclusione è implicita: uccisi in battaglia.

La cittadina di Toretsk devastata dall'esercito russo che si avvicina al centro - Ansa

​Resistere rimane la parola d’ordine. La stessa di Victoria e Artem. «A New York abbiamo resistito fino a che è stato possibile. E abbiamo sperato fino all’ultimo che l’esercito russo non arrivasse. Perché non ce ne siamo andati prima? Per la nostra casa e per tutto ciò che avevamo dentro: a cominciare dai ricordi». La donna indica la maglietta e la gonna strappata che ancora indossa. «Sono le poche cose che sono riuscita a portare con me». «E io le mutande: soltanto con quelle sono scappato», ribatte il marito. Hanno visto i soldati di Mosca entrare dove abitavano. «E i nostri sono saliti all’ultimo piano del condominio per colpirli dall’alto». Da qui la ritorsione. «I militari russi li hanno notati e hanno dato fuoco al palazzo. Allora non c’è rimasto altro che fuggire». Senza alcuna protezione. Fra gli scontri e i campi che portano a Toretsk, la cittadina mineraria a una manciata di chilometri da New York. «Ci hanno recuperato i pompieri», proseguono i Litvinova. E poi sono stati fatti salire su uno dei convogli di evacuazione allestiti dalle forze dell’ordine per trasferire la popolazione.

L'evacuazione dalla cittadina di Toretsk verso cui avanza l'esercito russo - Reuters

Ne partono ogni giorno. Perché «Toretsk, come quasi tutte le città in prima linea nell’oblast, è distrutta: in questo caso al 70%», chiarisce il capo dell’amministrazione militare regionale, Vadym Filashkin. Le foto diffuse dalle autorità locali la mostrano devastata, con ogni casa colpita o ridotta in macerie. Circondata dai battaglioni russi e forse in procinto di essere conquistata. «Nelle ultime due settimane sono stati evacuati 2mila residenti - continua Filashkin -. Le persone se ne vanno, ma non così velocemente come vorremmo. Ne restano 3.500 su 30mila».

La difesa ucraina della cittadina di Chasiv Yar, nella regione di Donetsk, assediata dall'esercito russo - Reuters

​Identica la sorte di Chasiv Yar. Rasa al suolo e con il «record di raid degli ultimi due mesi: 438 in ventiquattro ore», dichiara Nazar Voloshyn, portavoce del gruppo strategico. In 530 rimangono sotto i bombardamenti. «Ma ormai è quasi impossibile spingersi fino al centro - avverte il governatore militare -. Tutte le strade sono accattate con i droni e l’artiglieria. Anche le nostre colonne di trasporto umanitario vengono bersagliate». Per Victoria e Artem la vita ricomincia a Kharkiv dove sono stati portati. Una vita da sfollati. Insieme alla figlia e alla nipotina che già sono nell’ex capitale. «E in questa borsa di plastica ho quanto mi resta di 53 anni di vita», indica la donna. E taglia corto: «La guerra? Solo una questione politica. Ma fa morire la gente e ci lascia senza nulla».



Le truppe di Kiev entrano in Russia: evacuate migliaia di persone. L'ira di Putin


Con ventiquattro ore di ritardo Vladimir Putin scopre l’offensiva ucraina in territorio russo. E tuona contro la «provocazione su larga scala» delle forze di Kiev che sono ricorse anche a «bombardamenti indiscriminati, persino con missili, su strutture civili». La regione in cui sono penetrati i soldati ucraini con l’operazione “sfondamento” di martedì è quella di Kursk lungo il confine dell’oblast ucraina di Sumy nell’est del Paese invaso. In poco meno di una giornata le truppe di Kiev hanno “occupato” tre agglomerati oltre frontiera, mentre la cittadina russa di Sudzha è stata quasi completamente sgomberata. Mosca parla di «migliaia di residenti» trasferiti in altre regioni russe per ragioni di sicurezza. Secondo il Cremlino, i bombardamenti ucraini che hanno accompagnato l’attacco hanno provocato almeno cinque morti civili, tra cui due membri dell’equipaggio di un’ambulanza, e 28 feriti, compresi sei bambini.

L’incursione è partita da Sumy e ha coinvolto mille soldati ucraini supportati da carri armati e droni. Obiettivo: attirare l’armata di Mosca nei pressi di Kursk per alleggerire la pressione sul fronte di Donetsk. «L’avanzata del nemico è stata fermata da raid aerei e di artiglieria», rassicura il capo di Stato maggiore russo, Valery Gerasimo. E i dispacci russi spiegano come i sistemi di difesa abbiano abbattuto 26 droni e diversi razzi. Per Mosca, la situazione è «sotto controllo». Però una prima risposta del Cremlino è già arrivata, con l’ennesimo bombardamento della regione di Sumy, il lancio di trenta droni su sette oblast ucraine e il record di attacchi nella regione di Kharkiv: 517 in ventiquattro ore. Ma le autorità ucraine temono una ritorsione ben più ampia e hanno deciso l’evacuazione di 6mila persone in 23 insediamenti a Sumy. Il tutto mentre il presidente Volodymyr Zelensky ha prorogato per l’ennesima volta e fino a novembre la legge marziale e quella sulla mobilitazione. Proprio nelle stesse ore in cui le guardie di frontiera ucraine fermavano 48 uomini che avevano pagato 5mila euro a testa per attraversare il confine della Moldavia e sfuggire all’arruolamento obbligatorio. (G.G.)