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La guerra in Europa. La vendetta su Odessa, la città ribelle che Mosca ancora minaccia

Nello Scavo - Inviato a Odessa sabato 2 marzo 2024
Quel che resta di un’esistenza sono vecchie foto di famiglia e soprammobili rotti. Si cercano vite, ma si raccolgono cocci. I soccorritori li mettono da parte sopra a un mucchio di macerie annerite. Forse potranno essere recuperati dai proprietari, se sbucheranno ancora vivi dalla massa di calcinacci e travi di ferro aggrovigliate. Oppure li prenderanno gli eredi. Nove piani, diciotto appartamenti. Dove c’erano le fondamenta e il vano caldaie adesso c’è un cratere profondo e fumante. «La Russia continua a combattere contro i civili», ha reagito il presidente Zelensky.

La guerra non ha mai lasciato Odessa, la perla sul Mar Nero attaccata fin dalla prima ora, due anni fa. L’ex presidente russo Medvedev è tornato a indicarla tra le magnifiche prede. Parole pronunciate mentre la vicina Transnistria, l’enclave filorussa in territorio moldavo, è tornata ad agitare i sonni della diplomazia, con il ministro degli Esteri di Mosca, l’imperscrutabile Lavrov, che venerdì lasciava cadere un’affermazione sibillina: «Se noi fossimo in Moldavia ce ne preoccuperemmo».



Che sia un bluff o una strategia mirata, sul fronte Sud si passa dalle parole ai fatti. L’Ucraina colpisce le postazioni russe in Crimea. Mosca replica con attacchi multipli su una fascia di 200 chilometri in linea d’aria. Fuoco d’artiglieria su Kherson, dove non c’è modo di far arretrare le guarnigioni moscovite con i loro cannoni protetti dalla sponda del Dnripro, a poche centinaia di metri dalla città ucraina sull’argine opposto. Gli obici sono stati dispiegati a protezione dell’unica via d’accesso terrestre verso la Crimea. E intanto, proprio dalla penisola che Putin aveva preso nel 2014, vengono scagliate le ondate di ordigni volanti. Solo nella notte tra venerdì e ieri almeno quattro sciami di droni di fabbricazione iraniana, non tutti caricati con dell’esplosivo.

«Mosca sta cambiando tattica – ci spiega una fonte militare –. I velivoli esplosivi vengono tallonati da droni di sorveglianza che hanno lo scopo di mappare la posizione e la risposta della nostra contraerea, cercando di trovare buchi nella maglia». A quel punto, dopo repentini cambi di direzione per tenere occupate le contromisure, vengono lanciati i missili ipersonici con margini di errore di pochi metri. Quello che ha sfondato il palazzo di Odessa era probabilmente un Khinzal, capace di volare a Mach 10, oltre 12mila chilometri orari. Perciò è piombato sul condominio quando oramai l’allarme aereo era stato spento. A quella velocità, quando i radar lo hanno avvistato era già troppo tardi. Chi ha potuto è scappato di nuovo nei seminterrati, ma numerose persone si sono riversate in strada cercando di allontanarsi dalla zona dell’impatto, mentre i primi soccorritori hanno dovuto chiamare i rinforzi da tutta la regione per rimuovere i detriti e tentare di salvare il maggior numero di civili. Il bilancio non è ancora definitivo: 7 morti, una decina di feriti e altrettanti dispersi. Poteva andare peggio se il quartiere, esposto alla vista del mare aperto, non fosse stato evacuato da mesi trasferendo i residenti in alberghi e residenze in aree meno a rischio.

Una nota delle forze armate spiega che ieri sono stati colpiti 14 su 17 droni e che il giorno prima un Mig russo è stato abbattuto, portando il totale dei caccia intercettati e distrutti a 13 in due settimane, quasi uno al giorno, tra cui 10 cacciabombardieri Su-34, due aerei da combattimento Su-35 e un aereo spia militare A-50. Dopo la caduta di Avdiivka, lo stato maggiore russo sta tentando di spingere le prime linee più in profondità. Per farlo è necessario il fuoco di copertura dell’aeronautica, che per sganciare le bombe sul campo di battaglia «ha bisogno di una distanza inferiore a 100 chilometri, circa 30-40 chilometri, a volte anche più vicino. Tutto dipende dal tipo di arma, dalla distanza e dall’altitudine dell’aereo», ha spiegato l’analista militare Oleksandr Kovalenko. «L’Ucraina ora ha i mezzi per distruggere gli aerei a distanze piuttosto lunghe», ha precisato Yuriy Ihnat, portavoce dell’aeronautica militare. Il giorno dopo il funerale di Navalny a Mosca, un attacco ha colpito San Pietroburgo, la città natale di Vladimir Putin. Un drone si è schiantato contro un edificio residenziale di cinque piani. Non ci sono state vittime, ma un centinaio di persone sono state evacuate, ha dichiarato la Guardia nazionale russa Rosgvardiya. Il governatore del distretto, Alexander Beglov, ha parlato di «incidente senza vittime». Alcuni testimoni raggiunti dall’agenzia Reuters hanno raccontato di avere sentito «uno strano suono seguito da un’esplosione e da un incendio». Un video mostra la facciata danneggiata di un palazzo senza più finestre, con i balconi danneggiati e detriti precipitati al suolo. Alcuni media locali hanno sostenuto che potrebbe trattarsi di un drone ucraino abbattuto mentre si stava dirigendo verso un vicino deposito di carburante. Da Kiev non c’è stato alcun commento ufficiale. «Aspettiamoci la reazione di Vladimir Putin», dice un vigile del fuoco dopo aver estratto da un cumulo di mattoni il corpo del bimbo di tre anni travolto nel sonno.

A pochi passi, dove vengono disposti gli oggetti di un qualche valore che compongono l’involontario polittico della vita al tempo delle bombe, un cellulare riprende a suonare. È stato posato sopra a una risma di vecchie foto cadute come coriandoli dai piani alti. Il display lampeggia e nessuno risponde. «Saranno parenti o conoscenti che cercano notizie, ma non sappiamo ancora cosa rispondere», dice il ragazzo con il cappellino giallo dei volontari che corrono come possono lungo la rotta dei bombardamenti. Altre esplosioni vengono udite più in lontananza. A Ochakiv, da dove partono gli incursori ucraini a bordo di barchini a remi, per non fare rumore e di notte colpire ai fianchi gli avamposti russi in Crimea. Bombe su Mykolaiv, tra Kherson e Odessa, da dove transitano i rinforzi ucraini.

E centinaia di attacchi su tutto il fianco Est, lungo il Donbass e vicino a Zaporizhzhia, che Kiev non può permettersi di cedere: si aprirebbe di nuovo un varco nella vasta pianura. «Fino a quando al Cremlino le cose non cambieranno – commenta uno dei più anziani diplomatici europei a Kiev – chi ci garantisce che Putin possa davvero rinunciare al suo piano neo-zarista? Non c’è mai stato un solo obiettivo a cui egli abbia rinunciato».

Al tramonto le sirene tornano a presagire il peggio, mentre le ruspe continuano ancora ad affondare cautamente gli artigli nel cratere. Potrebbe esserci qualche corpo, dopo quello di una madre con il figlio di tre mesi rinvenuti a fine giornata. O qualche trappola ancora inesplosa.