Ucraina. Dalle “nuove” festività alle chiese requisite: la guerra spacca i cristiani
La chiesa del villaggio di Stara Zhadova assediata dai fedeli delle due Chiese ortodosse in conflitto
Si presenta davanti alla chiesa del villaggio di Stara Zhadova con una smerigliatrice a batterie. Talare indosso, ha sulla testa anche il “kalimavkion”, il copricapo in raso che caratterizza i preti ortodossi. Accende la mola e la avvicina al lucchetto sul portone. Obiettivo: varcare la soglia del piccolo tempio nel paesino della regione di Chernivtsi, al confine con la Moldavia, e “liberarlo” dalla Chiesa ortodossa ucraina che ha la sua matrice nel patriarcato di Mosca. Il prete-operaio è uno degli “avanguardisti” della Chiesa ortodossa dell’Ucraina, la Chiesa scissionista guidata dal metropolita Epifanij che si è staccata nel 2018 e che adesso è quella su cui puntano il governo e il presidente Zelensky per avere una Chiesa nazionale senza alcun legame con la Russia. Mentre il sacerdote è intento a tagliare il lucchetto, viene circondato da un gruppo di donne e uomini che gli urlano in faccia e lo spintonano fino quasi a farlo cadere. Fedeli alla comunità ecclesiale «nemica», bloccano (almeno per il momento) il passaggio della parrocchia alla Chiesa cara al leader ucraino. Un trasferimento stabilito dalla gente con il voto contro i “preti russi”. Perché nel Paese sotto le bombe l’appartenenza di un luogo di culto a una denominazione religiosa non è questione di proprietà ma di decisione popolare.
Il filmato del sacerdote con la mola racconta le tensioni fra le Chiese in Ucraina che la guerra ha amplificato. Ed esasperato. Con la maggiore confessione del Paese, la Chiesa ortodossa che ha le sue radici a Mosca e fa capo a Onufrij, finita nel mirino dei servizi segreti che accusano alcuni dei suoi esponenti di collaborazionismo e al centro di proteste o “cacciate” dai luoghi di culto. E ancora prima destinataria dei progetti di legge in discussione in Parlamento che vieteranno ogni comunità religiosa collegata allo Stato invasore. A nulla sono valse le rassicurazioni scaturite dal Sinodo «della riforma», di cui è stato celebrato in questi giorni il primo anniversario, che ha dichiarato la piena indipendenza da Mosca, ufficializzato la netta condanna dell’invasione, imposto di non citare nelle liturgie il patriarca di Mosca, Kirill (che ha benedetto l’attacco di Putin). Vescovi e sacerdoti continuano a donare aiuti ai soldati al fronte per dire che si è accanto a chi si batte contro l’aggressore. Ma le autorità di Kiev hanno inserito nella dizione ufficiale della Chiesa incriminata anche la specifica “patriarcato di Mosca”. Scelta censurata dai vertici ecclesiali.
Sacerdoti e fedeli della Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Mosca che si oppongono alla cacciata da una chiesa - Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Mosca
Nelle case continua a entrare l’immagine di “Pasha Mercedes” con il braccialetto elettronico: è il metropolita Pavlo (amante del lusso), arrestato a marzo e volto di primo piano del Santuario delle Grotte di Kiev (Pechersk Lavra), fortezza spirituale dell’ortodossia slava, da cui il governo sta tentando da mesi di espellere i religiosi filorussi. La difesa del presule sostiene che giudici e servizi di sicurezza fomentino l’odio. Però gli 007 rispondono con l’incriminazione di un altro metropolita, quello di Zhytomyr, trovato con 50mila opuscoli pro-Cremlino. Con il passare dei mesi si moltiplicano anche i casi di “migrazione” delle parrocchie ortodosse dalla comunità di Onufrij a quella scissionista. Con l’appoggio della popolazione locale ma anche della polizia che, denunciano gli ecclesiastici rimossi, rimuove i preti. Tanto che gli espulsi parlato di «chiese catturate».
Il metropolita ortodosso di Zhytomyr trovato con 50mila opuscoli pro-Cremlino dagli agenti della Sbu, i servizi di sicurezza ucraini - Sbu
Ad approfittarne è la Chiesa autocefala di Epifanij che ha appena cambiato il calendario liturgico lasciandosi alle spalle quello su cui poggia la vita ecclesiale del patriarcato di Mosca che lo considera quasi un dogma. Dal 2023 il Natale non sarà più celebrato il 7 gennaio ma il 25 dicembre. «Mentre gli oppositori, principalmente la Chiesa russa, aderiscono al vecchio calendario - viene spiegato dall’entourage di Epifanij - il calendario moderno è utilizzato da quelle Chiese che sostengono la nostra Chiesa». Implicito il riferimento alla Chiesa greco-cattolica che già a febbraio aveva adottato la nuova scansione temporale. «In Ucraina adesso non si parla più di Natale ortodosso e cattolico ma del Natale cristiano - sottolinea l’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk -. La guerra ha provocato una forte trasformazione della società. E si è creato un clima sociale e anche politico favorevole ad alcuni cambiamenti». Al termine del Sinodo celebrato il mese scorso, Shevchuk ha annunciato anche che «i vescovi stanno cercando amici per creare un’ampia coalizione internazionale a sostegno della patria». E ha definito la missione del cardinale Matteo Zuppi «un gesto concreto del Papa con il quale vuole aiutare il popolo ucraino e il nostro Paese».