Domande&risposte. Ucraina, cosa può succedere ora che la Russia riconosce il Donbass
La crisi ucraina ha conosciuto nelle ultime ore un’evoluzione drammatica. Dopo aver riconosciuto le due ‘Repubbliche’ separatiste di Donetsk e Lugansk, Vladimir Putin ha ordinato l’avvio di una missione di peacekeeping delle forze russe. Tradotto in soldoni si tratta del via libera ad un intervento diretto di Mosca nei territori dell’est ucraino, per mettere sotto controllo l’area, anche se il Cremlino per ora frena. La Russia sta impiegando la stessa retorica usata poche settimane fa per il Kazakistan, in vista di riportare nella sua orbita paesi sfuggenti.
Che cosa dobbiamo aspettarci ora?
L’ipotesi più probabile è che i russi puntino a conquistare le porzioni degli oblast di Donetsk e Lugansk che sfuggono ancora al controllo dei separatisti. Mosca si assicurerebbe la città portuale di Mariupol, trait d’union territoriale fra la Crimea e il Donbass, e altri snodi strategici, come Kherson e Kharkiv. L’intelligence militare ucraina non esclude neppure un assalto dal mare, che potrebbe ampliarsi all’intera costa del Mar Nero, per arrivare fino a Odessa. Con i 150mila uomini schierati al confine ucraino Mosca è in grado di minacciare più settori del fronte. Ha già costretto le forze nemiche, magre nei numeri operativi, a disperdersi, sfilacciandosi fra la frontiera bielorussa e il mare.
In caso di offensiva limitata al Donbass occidentale, come inizierebbe la guerra?
L’attacco partirebbe con un’offensiva multidimensionale, cibernetica, elettronica e cinetica, con bombardamenti su tutta la profondità del territorio ucraino.
Quale sarebbe l’obiettivo di questa prima fase?
L’attacco iniziale punterebbe a disarticolare la catena di comando ucraina. Imploderebbero i centri nodali dell’esercito di Kiev, mancherebbero gli ordini per le truppe in prima linea e sarebbero distrutti gli assi viari ucraini, per intralciare l’afflusso di rinforzi al fronte.
Le truppe russe al confine sono sufficienti per un’operazione di invasione totale dell’Ucraina?
I 100 gruppi di combattimento russi pronti all’azione sono del tutto insufficienti per un’operazione tanto complessa e su larga scala, vista l’ampiezza del territorio e l’ostilità che verrebbe incontrata ad ovest del fiume Dnepr. Non è neppure scontato che la popolazione russa sosterrebbe il Cremlino in un simile avventurismo.
Perché?
La società russa è complessa, talvolta divisa sulle questioni storiche. Putin e il potere sono già stati criticati per la gestione della pandemia e a livello politico non mancano i torbidi. Sul tema dell’indipendenza delle “repubbliche separatiste’, è verosimile che la maggioranza dei russi approvi. Vi è da dubitare che il popolo segua compatto Putin se il Presidente decidesse di attaccare l’Ucraina. Una simile operazione rischierebbe di minare la coesione economica e sociale della Russia stessa, con vantaggi strategici limitati e gravi conseguenze a breve e lungo termine. Attaccare l’Ucraina potrebbe comportare seri problemi politici.
C’è stato qualche segnale preciso in tal senso?
Durante il drammatico Consiglio di Sicurezza russo, ieri sera, ci sono state delle sorprese: Naryshkine si è mostrato esitante, Patruschev è emerso come una quasi colomba, o almeno non è il più duro del Politburo. Lavrov ha proposto metodi draconiani, mentre Kolokoltsev ha sollevato dubbi sulle frontiere dei territori del Donbass. Nemmeno la dirigenza è compatta. Anche i media russi si sono svegliati. Per settimane la questione ucraina è stato un tema secondario. Da venerdì scorso e dall’inizio dell’evacuazione dei civili russofoni dal Donbass, la crisi è sotto i riflettori. E’ uscita dall’ambito abituale, conquistando il cuore dell’attualità e risvegliando le preoccupazioni della popolazione russa.
Quali sono gli altri freni a un’escalation su vasta scala?
Ve ne sono sia di ordine strategico, sia tattico. Mosca non ha le risorse per sostenere un’occupazione sine die del territorio ucraino ed ha imparato dalla catastrofe occidentale in Afghanistan che le missioni di stabilizzazione post-conflitto sono votate al fallimento. Oltre il fiume Dnepr, l’Ucraina è una terra ostile e la resistenza militare comporterebbe perdite insostenibili fra i soldati russi. Senza considerare le remore ad attaccare un paese di etnia slava. Mosca non ha neanche la prontezza operativa per interventi azzardati. Non può sostenere un’offensiva prolungata che si addentri oltre i 100-150 km di profondità. Ha problemi logistici e mancherebbero presto viveri e munizioni alle unità al fronte.
Quale reazione potrebbero mettere in campo le forze ucraine?
A est, sarebbero semplicemente travolte. A ovest del Dniepr la musica cambierebbe. Gli ucraini hanno affinato la guerra di guerriglia, addestrati dal 2015 dagli occidentali. Hanno riserve di armi anticarro e un’industria militare integra. L’Ucraina non è isolata come la Georgia o la Cecenia. Confina con paesi occidentali più antirussi di molti ucraini dell’ovest. Riceverebbe aiuti militari costanti e i suoi reparti potrebbero facilmente addestrarsi oltreconfine all’uso dei nuovi armamenti.
Quali sarebbero i costi umani ed economici di una guerra?
Le stime ipotizzano 25mila caduti fra i soldati ucraini e 50mila decessi fra i civili. I danni economici sarebbero incalcolabili: la perdita della Crimea e di parte del Donbass è già costata a Kiev più di 100 miliardi di dollari. Forse c’è ancora spazio per il negoziato.