Ucraina. A Kharkiv la Cattedrale sfama i poveri di guerra. «Ma gli aiuti non bastano»
La Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv presa d'assalto dai poveri di guerra per ricevere cibo e vestiario
Alle otto del mattino sono già in mille davanti al cancello della Cattedrale di San Nicola. La chiesa greco-cattolica alla periferia di Kharkiv è ancora uno scheletro e il fango circonda il sagrato. Le bombe che da nove mesi cadono sulla seconda città dell’Ucraina hanno fermato i lavori. E hanno anche cambiato il volto della basilica in costruzione: non più solo un cantiere ma anche un immenso sportello di aiuti che l’esarca, il vescovo Vasyl Tuchapets, ha voluto fossero stipati fra le navate e le impalcature che si alzano fino alle cupole. «Il Vangelo ci chiede di essere accanto alla gente che soffre», spiega. A fine giornata saranno quasi tremila i “poveri di guerra” passati da questo santuario della solidarietà a cielo aperto. Per avere una coperta, per recuperare un cappotto o un maglione, per farsi riempire di patate una busta, per avere qualche pacco di pasta, per trovare i pannolini con cui cambiare il figlio neonato.
Manca tutto a Kharkiv. «Non c’è più lavoro. Non ci sono più soldi. E dobbiamo far fronte anche all’esodo di quanti abbandonano i territori liberati - racconta suor Sestra Olexia, energica religiosa di San Giuseppe -: sono, sì, villaggi da cui sono state cacciate le truppe di occupazione ma anche dove ogni cosa è devastata. Impossibile rimanerci quando le temperature scendono sotto lo zero, come avviene già adesso».
La coda fin dal primo mattino davanti alla Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv per ricevere gli aiuti - Gambassi
Allora si opta per la metropoli, nonostante quasi la metà della città sia stata distrutta dai missili russi che continuano ad arrivare da oltre confine, a meno di cinquanta chilometri di distanza: soltanto ieri ne sono piovuti sei. E si vive di carità. «Anche qui non si può più abitare negli appartamenti: perché i palazzi sono stati colpiti o comunque sono bersagli facili per i razzi. Quindi si sceglie come rifugio qualche seminterrato. E si viene da noi per trovare da mangiare o da vestire», afferma la religiosa.
L'interno della Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv trasformata in hub di aiuti umanitari - Gambassi
L’assalto alla Cattedrale che ogni settimana sfama centinaia di famiglie è ordinato. «I bisogni stanno esplodendo con l’inverno - riferisce il vescovo -. La strategia di Putin di danneggiare le infrastrutture energetiche sta lasciando tutta la regione senza elettricità, acqua corrente e riscaldamento, com’è accaduto in queste ore». Anche gli aiuti cominciano a scarseggiare. «O meglio, diventa sempre più complicato farli giungere fin qui, nella parte orientale dell’Ucraina, dove le necessità rasentano la crisi umanitaria», lancia l’allarme suor Olexia. E prosegue: «Dall’Europa ma anche da oltre oceano i carichi arrivano; ma vengono lasciati alla frontiera polacca». Anche perché non si trovano camionisti stranieri che accettano il rischio di entrare in un Paese in guerra e attraversarlo tutto, da Ovest a Est. «Oltre 1.100 chilometri separano la Polonia da Kharkiv. Quando gli stock raggiungono il confine, serve chi sia disposto a trasportarli nella nostra oblast. E poi occorre sostenere le spese di un viaggio che dura almeno un paio di giorni: cosa davvero complicata per la comunità ecclesiale».
La rete di solidarietà e di aiuti nella Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv - Gambassi
In coda c’è una città dove speranza e disperazione si fondono. La speranza è racchiusa nella domanda che l’esarca si sente ripetere dalla sua gente: «Quando finirà la guerra?». «Leggo questo grido come un invito a intensificare la preghiera per la pace», sostiene. E la disperazione è scritta negli sguardi di chi ha ormai superato ogni soglia di paura. Perché non ha l’opportunità di fuggire dalle bombe. E, non potendo contare su nulla e nessuno, resta in mezzo al fuoco “nemico” e fra le macerie. Come Olena, madre di tre ragazzini dai due a dieci anni. Per sette mesi, fino al 24 ottobre, ha vissuto «sottoterra», racconta, in un deposito dell’ospedale davanti al suo condominio che era stato attaccato. E spiega che uno dei figli ha «continue crisi di panico e la testa gli trema sempre». Traumi di guerra. «Vorrei fosse curato», sussurra. E vorrebbe anche trovare qualcosa per mettere insieme due spiccioli. «Un miraggio - aggiunge -. Così passo le giornate in giro a cercare l’indispensabile per campare».
Mamme e bambini in coda per gli aiuti davanti alla Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv - Gambassi
I bancali di cibo in lattina e gli scatoloni con gli abiti usati si vuotano velocemente davanti ai gradini della grande chiesa. E anche il banco dei medicinali. «Quelli più comuni, e quindi più richiesti, sono ormai insufficienti», dice Inna Baranova mentre sistema le scorte. Lei è una docente dell’Università nazionale di farmacia a Kharkiv. «Ho deciso di restare. E di mettermi a disposizione di quanti non ce la fanno». Come volontaria in parrocchia.
La distribuzione dei medicinali di fronte alla Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv - Gambassi
Angelica è un avvocato, anche lei volontaria. E legale delle mamme che «hanno partorito nelle zone occupate e non possono neppure contare su un certificato di nascita dei loro piccoli», chiarisce. La guerra chiama alla condivisione che è l’altro nome della resistenza. Lena Scorokodova è stata ribattezza l’«amica dei malati e dei disabili». Anche loro in fila, sfidando il gelo. Con il distintivo della Caritas, prende nota di ciò che serve. «Dai detersivi alle carrozzine», sorride. Poi bussa alle porte con il suo “bagaglio” fraterno. Che può includere anche un paio di stampelle. «Le ho consegnate a una donna di 82 anni che vive con il figlio schizofrenico in una casa bombardata. Lei mi ha abbracciato e ha bisbigliato: “Grazie al cielo c’è chi non ci dimentica”».
Per aiutare la Cattedrale di Kharkiv contattare suor Sestra Olexia alla mail: soleksia@gmail.com
Gli anziani in coda per gli aiuti davanti alla Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv - Gambassi