Iran. Altra esecuzione degli 007 a Teheran: ucciso il capo del programma atomico
Lo scienziato Mohsen Fakhrizadeh Mohabadi
Lo scienziato considerato da molti come il “padre” del programma nucleare iraniano, Mohsen Fakhrizadeh Mahabadi, 59 anni, è stato ucciso questo pomeriggio a colpi di pistola vicino a Teheran. L’agenzia iraniana Mehr parla di un «attacco terroristico» avvenuto nei pressi di Damavand, a nord-est di Teheran, contro «uno dei massimi ricercatori iraniani nel settore della tecnologia nucleare». Il ministero della Difesa iraniano ha confermato l’uccisione dello scienziato, che sarebbe spirato dopo un tentativo di salvarlo in ospedale.
Unanime, da parte delle autorità iraniane, la convinzione che dietro all’omicidio vi sia la mano di Israele, impegnato in una guerra sotterranea per fermare il programma nucleare di Teheran. Ci sono «serie indicazioni di un ruolo di Israele», ha scritto su Twitter il ministero degli Esteri iraniano.
«Questa vigliaccheria – ha aggiunto Mohammad Javad Zarif – dimostra un disperato bellicismo da parte degli autori», prima di chiedere «alla comunità internazionale, e soprattutto all’Unione Europea, di porre fine ai loro vergognosi doppi standard e di condannare questo atto di terrorismo di Stato».
«L’assassinio di scienziati nucleari – ha scritto da parte sua il comandante dei pasdaran, Hossein Soleimani – è l’atto di ostilità più brutale e palese del sistema egemonico per impedirci di raggiungere risultati nella scienza moderna». Il capo di stato maggiore, il generale Mohammad Bagheri, ha invece minacciato «una vendetta terribile» contro «i gruppi terroristici e i responsabili» dell’attentato, avvertendo che le forze di sicurezza «non avranno pace finché non avranno inseguito e punito» i colpevoli.
Degli attentati contro scienziati nucleari si ricordano almeno sette. Da quello che ha messo fine
Nessun commento ufficiale da parte di Israele. Nel 2018 Benjamin Netanyahu nominò espressamente la vittima in una conferenza stampa in cui annunciò che i suoi servizi d’intelligence avevano trafugato da Teheran un vasto archivio sul programma nucleare iraniano. «Ricordate questo nome, Fakhrizadeh», aveva detto il premier ai cronisti, affermando che lo scienziato guidava un programma nucleare segreto di Teheran, chiamato Amad (“speranza” in persiano).
Un’affermazione che trova riscontro altrove. Nel 2014, un diplomatico occidentale aveva confidato a Reuters che «se l’Iran deciderà di militarizzarsi, Fakhrizadeh sarà ricordato come il padre della bomba nucleare». Anche per questo, secondo fonti israeliane, sarebbe sopravvissuto in passato a un tentativo di omicidio compiuto dal Mossad. Forse quello denunciato nel 2015 dalle autorità iraniane senza rivelare l’identità dell’illustre bersaglio designato. Altri attentati – tutti addebitati al Mossad israeliano o ai “terroristi” di Mojahedin-e Khalq (Mko), un gruppo di opposizione in esilio – hanno centrato l’obiettivo. Nel maggio 2012, Teheran ha annunciato l’esecuzione di una condanna a morte contro Majid Fashi, presentato come agente del Mossad, poi annunciò l’arresto di altri 14 iraniani (otto uomini e sei donne) coinvolti in una serie di attentati contro scienziati nucleari e descritti come una cellula addestrata dai servizi israeliani, presentando successivamente le loro «confessioni» in un documentario televisivo dal titolo “il club del terrore”.
Senza parlare delle misteriose esplosioni in impianti strategici avvenute quest’estate. Nelle ultime settimane – riportava tre giorni fa il sito di news Axios – i militari israeliani hanno ricevuto ordine di prepararsi alla possibilità che Donald Trump ordini un attacco contro l’Iran. Le ultime settimane del tycoon alla Casa Bianca, scriveva Barak Ravid da Tel Aviv, saranno un «periodo molto delicato». Secondo il New York Times, il presidente Usa sarebbe stato dissuaso dall’intraprendere una simile iniziativa. Probabilmente, qualcuno non rinuncia all’escalation. Solo due giorni fa il presidente iraniano Hassan Rohani aveva parlato di un possibile ritorno alle relazioni con gli Usa «alle condizioni del 20 gennaio 2017». Sempre se Joe Biden mostrerà la volontà di “ricucire”.