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Turchia. In visita al palazzo presidenziale di Ankara. Simbolo del potere di Erdogan e della nuova Turchia

Nello Scavo lunedì 3 ottobre 2016
"Quando gli stranieri arrivano e vedono il palazzo, dicono: questo è un grande Stato". Recep Tayyip Erdogan aveva celebrato con queste parole l’inaugurazione della sua faraonica residenza. Il complesso presidenziale resta però uno dei luoghi più inaccessibili dell’intero Paese. Un’area con molti segreti, a cominciare dalla reale composizione degli spazi interni, dei bunker, i luoghi dello svago e quelli dello sfarzo, ma soprattutto dei costi. Nei giorni scorsi una delegazione dei principali media internazionali, tra cui “Avvenire”, è stata ammessa nella residenza, la cui area nella notte del 15 luglio è stata bombardata da un elicottero militare dei golpisti. I resti delle esplosioni e delle smitragliate non sono stati rimossi dal perimetro esterno del complesso, e sono diventati meta di turisti e di turchi che vogliono vedere da vicino fino a che punto stessero spingendosi i militari che hanno fatto fuoco sui centri del potere e sui manifestanti chiamati a raccolta da Erdogan.

Un camion dei militari golpisti lasciato vicino al palazzo I pochi visitatori autorizzati vengono sottoposti a rigidi controlli. All'interno dell’area è permesso circolare solo a bordo di uno dei mezzi del nutrito parco di auto e bus presidenziali che percorrono un’area di svariati chilometri. L'intero complesso è stato denominato "Ak Saray", letteralmente "Palazzo Bianco", ma dai più ribattezzato "Casa Bianca", per accostarlo al simbolo del potere di Washington.

A oltre due mesi dal fallito golpe, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan continua la sua resa dei conti con i presunti golpisti. Almeno 10mila persone sono state colpite dai provvedimenti giudiziari: arresti, sospensioni dal lavoro, licenziamenti. Epurazioni che non si fermano, mentre non si ferma neanche la dolce vita della corte presidenziale. Ricevimenti, passeggiate tra i giochi d’acqua, conversazioni tra opere d’arte, pezzi d’antiquariato, e poi un maneggio dove ospitare i 53 cavalli arabi ricevuti in dono dall'emiro del Qatar.

Secondo le cifre ufficiali l’immensa costruzione, composta da 1.125 stanze, è costata 615 milioni di euro, ma stimando il valore dei materiali utilizzati, la Camera degli Architetti di Ankara ha ipotizzato una spesa pari al triplo. Lo stesso Erdogan non lo chiama palazzo ma “kulliye”, termine ottomano che indica un complesso attorno a un luogo di preghiera islamico.

In effetti la monumentale “Moschea nazionale di Bestepe”, dal nome dell'area in cui sorge, è stata realizzata all’interno del complesso presidenziale, ma a debita distanza, come a significare l’importanza dell’immaginario islamico nel sistema di valori proposti da Erdogan, ma non l’ingerenza della religione nella vita pubblica del Paese e meno che mai nelle decisioni della leadership, che Erdogan semmai rivendica per sé. Da tutti chiamata “Moschea del Popolo”, in realtà è aperta ai fedeli solo in rare circostanze.

A chi lo criticava per l’espressione di personale grandeur, il presidente rispondeva giustificando la decisione di fare costruire il suo nuovo faraonico palazzo con la necessità di non avere insetti come nelle vecchie residenze del governo turco. Una volta Erdogan ha spiegato che quando era primo ministro, nella sede del capo del governo c'erano scarafaggi nei bagni. "Un posto del genere è degno del primo ministro della Repubblica turca? Può accogliere un ospite?”.

Se per un verso l’impressionante dispositivo di sicurezza ha retto bene all’assalto dei golpisti, qualche grattacapo Erdogan lo ha avuto a causa del misterioso water d’oro massiccio. Nessuno lo ha mai visto, ma lo scorso 8 gennaio un tribunale locale ha respinto la querela per diffamazione presentata dal capo dello stato nei confronti di Kemal Kilicdaroglu, leader del principale partito di opposizione, il socialdemocratico Chp. L'accusa al presidente turco di avere un "water dorato" nella sua abitazione presidenziale rientrava, secondo la corte, nel diritto di critica politica. Perciò Erdogan è stato condannato a pagare 1.510 lire turche di spese legali (circa 460 euro), a fronte dei pretesi 30 mila euro di danni invano chiesti dallo stesso Erdogan. Il leader del Chp aveva poi spiegato di aver usato un paradosso per criticare il lusso dell’edificio, realizzato in un parco protetto, donato al popolo turco come zona per lo svago e i picnic dal fondatore della repubblica, Mustafa Kemal Ataturk.

"Se hanno il potere di farlo, lo distruggano", disse in tono di sfida Erdogan replicando alla sua maniera a quanti lo hanno criticato per la “Casa Bianca” di Ankara. E a giudicare dai crateri lasciati dalle bombe sganciate dai golpisti, non c’è dubbio che fossero pronti a farlo.

 Quello che resta più incerto, nonostante i centomila è più turchi colpiti dalle purghe del dopo-golpe, sono i veri mandanti del fallito colpo di Stato.