Nordafrica. Coronavirus, coprifuoco in Tunisia, tensioni in Marocco e Algeria
Proteste in Tunisia contro la disoccupazione
Piegato dalla crisi economica, il Nordafrica corre ai ripari, in ordine sparso, per tamponare la seconda ondata pandemica, la cui ombra si staglia inevitabilmente anche sul piano politico. In Tunisia, è stato disposto un coprifuoco notturno, che però assume sempre più i connotati di una serrata estesa a tutto il Paese. In precedenza erano state prese misure a macchia di leopardo in diversi governatorati del Paese, tra cui Monastir, Sousse, Sidi Bouzid, dove era già in vigore da alcuni giorni.
Alcuni attori della società civile denunciano il rischio di un ritorno allo Stato di polizia. Mentre il numero dei contagi da coronavirus supera la soglia choc di mille casi al giorno, in un Paese di poco più di undici milioni di abitanti. In queste condizioni, il governo Mechichi cerca faticosamente di mettere a punto la legge di bilancio per l’anno 2021: ad oggi, Tunisi prevede di chiudere l’infausto anno 2020 con una crescita economica del -8%, ma un quadro sanitario ancora peggiore che potrebbe “zavorrare” l’intero sistema. Nel Regno del Marocco le autorità si preparano al peggio, vista la costante rincorsa dei contagi: la soglia dei 4mila casi al giorno è vicina. Nella gestione dell’epidemia, la cooperazione con Pechino è diventata vitale per reperire dispositivi, medicinali e pure personale sanitario preparato a gestire l’emergenza. Con un’economia agonizzante, Rabat destinerà nei prossimi mesi venticinque miliardi di euro, destinati al settore pubblico come ai privati. Rafforzata anche la collaborazione commerciale con la Turchia, considerata strategica per la ripresa.
Il virus accresce le tensioni politiche in Algeria, dove il movimento di opposizione Hirak, seppure bersaglio di una dura rappresaglia governativa, continua a mobilitare la società contro la riforma costituzionale voluta dalla presidenza di Abdelmajid Tebboune. Malessere socio–politico, emergenza sanitaria e implosione di un sistema produttivo mono–industriale (dipendente dagli idrocarburi, ndr) rischiano di proiettare il Paese in una cornice pseudo venezuelana. Mentre i produttori regionali di petrolio mettono in conto un crollo delle entrate di circa l’8%, Algeri come Rabat si volge a Oriente: Pechino risponde con prontezza, offrendo iniezioni di capitali.
In controtendenza l’Egitto, che sabato scorso, in virtù di un calo dei contagi, ha riaperto le classi per 23 milioni di studenti. Nel frattempo, il ministro delle Finanze Maait, ha diffuso le previsioni del Fmi sugli indicatori macroeconomici egiziani: con una crescita del 3,6%, l’anno fiscale conclusosi a giugno non ha risentito della pandemia. Di tutt’altro segno, invece, l’andamento sanitario libico: nel Paese i nuovi contagi giornalieri sono oltre mille, ma è ragionevole pensare che la pandemia sia assai più grave, visto lo sgretolamento dello Stato e dei suoi servizi. Con questo scenario alle spalle le fazioni libiche si riuniranno, all’inizio di novembre in Tunisia, per rimettere in moto un “dialogo nazionale” che dia speranza al Paese.