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Africa. Tsvangirai: lo Zimbabwe rinascerà dalle macerie

Daniele Zappalà martedì 30 giugno 2009
«Lo Zimbabwe emerge ap­pena da un periodo di conflitto politico e di di­sastro economico. Ciò spiega le per­sistenti sofferenze del popolo. Oggi i rappresentanti di tutti i partiti, sen­za eccezioni, hanno il dovere di ne­goziare entro i prossimi 18 mesi tut­ti gli accordi nel quadro del proces­so di unità nazionale in corso». Dopo anni di strenue battaglie sin­dacali e poi apertamente politiche, che hanno incluso periodi di prigio­nia per il suo ruolo di principale op­positore del regime di Robert Muga­be, dallo scorso febbraio Morgan T­svangirai può parlare dall’alto del suo ruolo di primo ministro. Ma il patto politico da poco rag­giunto con l’inamovibile e anziano presidente-padrone pare a molti os­servatori estremamente fragile. Non­dimeno, riguardo alle relazioni con Mugabe, il neopremier cerca di ra­gionare in positivo: «Malgrado la ri­valità che ci separa, abbiamo preso atto dell’attuale situazione e cer­chiamo di lavorare assieme per il be­ne del Paese. Non è il momento di volgere lo sguardo al passato. Perso­nalmente, voglio pensare solo al fu­turo». Come valuta l’evoluzione del pro­cesso in corso? Il governo di coalizione è all’opera da quattro mesi e abbiamo già com­piuto progressi innegabili. Abbiamo riaperto tante scuole e tanti ospeda­li, assicurando di nuovo pure la di­stribuzione dei beni di consumo e a un prezzo abbordabile. Abbiamo so­prattutto gettato le basi della pace e della stabilità. Ma dobbiamo fare di più nei prossimi mesi. Dopo la tournée internazionale da lei appena compiuta e gli incontri politici in varie capitali, cosa atten­de dall’Unione europea? Le nostre aspettative sono duplici. Innanzitutto, dopo il pesante recen­te passato, vogliamo normalizzare le relazioni grazie a discussioni nel quadro dell’articolo 8 dell’accordo di Cotonou. In secondo luogo, vor­remmo accedere ai fondi che ci per­metterebbero di ottenere risorse da destinare allo sviluppo. Su quest’ul- timo punto siamo consapevoli che e­sistono ancora dubbi e diffidenze nei confronti del nostro Paese. La chia­ve, per il momento, resta proprio la normalizzazione diplomatica. Si è molto parlato del recente inci­dente stradale costato la vita a sua moglie, che si trovava al suo fianco. Ha mai pensato, dopo quest’inci­dente, di poter lasciare la politica? Vorrei innanzitutto chiarire che si è trattato proprio di un incidente, co­me ha mostrato l’inchiesta. Insisto su questo punto. Non sono stato af­fatto tentato di abbandonare la po­litica. Mia moglie mi aveva sempre dissuaso dal poter mai un giorno ab­bandonare la lotta. La mia famiglia e il mio partito mi sostengono, no­nostante siano stati anch’essi scon­volti dall’incidente. Il Paese nel suo insieme attende che la libertà venga finalmente ritrovata. Il dolore che provo è oggi un motore supplemen­tare per battermi. Questo dolore mi vieta di abbandonare, almeno fino a quando la democrazia non sarà ri­stabilita. Come qualificherebbe il suo attua­le rapporto con il presidente Muga­be? I negoziati da cui usciamo sono sta­ti tempestosi. Ma oggi abbiamo tro­vato un terreno d’intesa, anche se spesso ci troviamo in disaccordo. Si tratta in ogni caso di una relazione di lavoro, quasi di una relazione fra uo­mini d’affari. Le differenze restano su molti punti, ma ci accordiamo al­meno sull’obiettivo finale di questo lavoro che svolgiamo assieme, ovve­ro servire il nostro Paese. In nome di questo principio supremo, pensia­mo che non esistono sfide che non possiamo tentare di affrontare as­sieme. Fra i numerosi problemi aperti del Paese c’è la questione agraria. Qual è oggi la sua posizione? Esiste un nuovo accordo per affida­re a una commissione indipenden­te una valutazione della situazione fondiaria. Il Paese era un tempo un granaio per l’Africa ed oggi il granaio è vuoto. L’obiettivo è di riempirlo di nuovo. Occorre distribuire le terre in modo equo e sappiamo che la chia­ve di questa riforma è una garanzia effettiva dei titoli di proprietà.