Stati Uniti. Trump sarà un problema per la Ue? Importiamo le sue "vittime" culturali
Donald Trump
Si moltiplicano gli inciampi giudiziari per Donald Trump. Dalla Corte Suprema del Colorado arriva il primo vero, potenziale stop alla sua candidatura. Ma sembra comunque molto probabile che l’ex presidente del quadriennio 2017-2020 correrà il prossimo 5 novembre nelle 60esime elezioni per la Casa Bianca. A poco meno di un anno da quell’appuntamento, lo sfidante con probabilità di vittoria più inquisito e discusso della storia americana sta già annunciando il proprio programma. È più simile a una ripetizione, con vendette incluse, di quello del 2016 che un’agenda credibile per la seconda parte del decennio.
Bisogna, quindi, fare fin da ora i conti con l’ipotesi di un leader Usa populista, isolazionista e “arrabbiato”. Ma anche con una nazione che sarà sempre più spaccata e percorsa da moti di piazza d’opposto segno, sul modello dell’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Non è un caso che lo stesso Trump abbia evocato il ricorso all’esercito nelle strade nei suoi primi giorni, una misura che i generali gli negarono in passato e che ora vorrebbe dispiegare in modo preventivo per scongiurare le probabili proteste dopo la vittoria che lui dà per certa.
Un altro segnale inquietante e insieme positivo è arrivato martedì da Capitol Hill, che ha approvato nella legge annuale sulla politica di difesa una misura bipartisan che impone al presidente di consultare le Camere prima di un eventuale ritiro dalla Nato. Che soltanto si ipotizzi un’uscita degli Stati Uniti dall’Alleanza atlantica è un elemento destabilizzante degli equilibri geopolitici mondiali. Con la guerra in corso nell’Ucraina invasa da Mosca e un Medio Oriente che è tornato in tragica ebollizione, l’Europa è chiamata a riflettere sulle contromisure da adottare di fronte a un alleato che potrebbe spostare i suoi interessi e i suoi sforzi lontano dal Vecchio Continente.
Una leadership che andasse all’appeasement con Putin, riducesse il dispiegamento militare oltre oceano, aumentasse la competizione economica con la Ue, soffiasse sul fuoco dei sovranismi sostenendo le forze euroscettiche costituirebbe ben più che un problema per Bruxelles e per molti dei 27 Stati membri. L’America come competitor, se non come addirittura avversario in alcuni ambiti specifici, sarebbe una sfida di portata non facilmente quantificabile e di gestione estremamente complessa. C’è un po’ di tempo per prepararsi, ma certamente troppo poco, considerata la cesura delle elezioni europee del prossimo giugno.
Una politica estera e di difesa comune rimane un miraggio. Sarebbe però previdente e responsabile da parte delle forze politiche che credono nel progetto europeo cominciare a introdurre il tema dello “scenario Trump” nei propri piani per il prossimo quinquennio dell’Unione. Come compenseremo il disimpegno Usa sul fronte ucraino o un’escalation commerciale e industriale della nuova Amministrazione? Il futuro fosco fa sempre breccia nella pubblica opinione e certamente se ne parlerà. Ma a parziale compensazione sarebbe utile considerare anche qualche opportunità che potremmo sfruttare se Joe Biden perderà la corsa alla riconferma. Non ci sarà una guerra civile negli Stati Uniti.
Tuttavia, non è un mistero che la linea di frattura tra i repubblicani e i democratici corre soprattutto tra metropoli e America profonda, tra borghesia più istruita e classi lavoratrici meno qualificate. Si stima che, al voto del 2016, nell’ipotetico seggio dell’università di Harvard Hillary Clinton avesse preso il 90% delle preferenze. Qualche supposizione si può fare anche per la Silicon Valley o Hollywood. Con un Trump bis scatenato nel contrastare la cultura woke, proibire nelle scuole i libri che esaltano il ruolo delle minoranze, spingere per una stretta su alcuni diritti civili, e più vicino ai nuovi autocrati che interessato a proteggere le democrazie, per molti gli Usa non saranno più quella città sulla collina capace di calamitare menti brillanti ed esuli in cerca di libertà.
L’Europa con il suo spazio di valori e principi condivisi, potrà diventare il nuovo polo d’attrazione. Se diventa pensabile l’impensabile, come l’addio di Washington alla Nato, perché non immaginare che qualche grande produttore cinematografico sia tentato di trovare casa (pur provvisoria) a Cinecittà? Oppure che un dipartimento della citata Harvard si trasferisca a Parigi (o Londra, certo, pure la Gran Bretagna potrebbe avvantaggiarsene). O che un Sam Altman pensi che sia meglio sviluppare altre versioni di ChatGPT a Berlino.
E i taiwanesi che hanno fatto la fortuna dell’industria chiave americana (e globale) dei microprocessori non si sentiranno traditi da un’Amministrazione che cede alla Cina sulla loro patria? Perché non fargli trovare terreno fertile nel nostro Continente? Pura fantascienza? Lo era anche Trump fino a pochi anni fa. Cominciamo dunque a ragionarci, per trovarci pronti a cogliere l'occasione. Non tutto quello che importeremmo dagli Usa (e poi re-esporteremmo) forse piacerebbe a tutti. Eppure, il ritorno in termini economici e di immagine sarebbe fortissimo.