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Proteste in America. Trump, il paradosso delle minoranze visibili

Andrea Lavazza lunedì 30 gennaio 2017

Ci sono alcune domande che si sentono ripetere davanti alle proteste contro il bando di Trump a migranti e rifugiati provenienti da 7 Paesi islamici. Soprattutto davanti alle proteste osservate attraverso televisione e Internet. "Dove erano tutti questi americani il giorno delle elezioni?". "Trump non capisce che gli umori dell’America sono già cambiati?". E, in ogni caso, spesso si conclude: "Con questa grande mobilitazione, le cose si sistemeranno presto". C’è un errore prospettico in tali quesiti e considerazioni. Un errore che è favorito dall’amplificazione che, inevitabilmente, i media danno ai fenomeni di dissenso o di contestazione. Alla prima domanda si deve rispondere che tutti coloro che oggi sono in piazza contro Trump in effetti l’8 novembre 2016 hanno votato per Hillary Clinton. Almeno in parte, sono gli stessi che probabilmente condotto la fatto campagna elettorale contro il magnate repubblicano e dato voce al movimento che lo avversava. Si consideri che negli Stati Uniti i votanti alle presidenziali sono stati 123,5 milioni. Il presidente ha vinto con 61 milioni di suffragi, mentre la sua avversaria ne ha ricevuti 62,5 milioni. Se due milioni di persone vanno in piazza negli Usa per protestare contro le misure anti-immigrazione, si assiste a una manifestazione davvero imponente, che però coinvolge, in termini di raffronto numerico, meno del 2% di chi ha sostenuto Clinton, meno dell’1% di quanti hanno messo la loro scheda nell’urna e lo 0,6% della popolazione complessiva.


A marciare sono le persone più motivate e determinate a opporsi a una politica che giudicano sbagliata. Ma ciò non significa per nulla che gli orientamenti generali si siano modificati: può ben essere che la stragrande maggioranza degli americani sia favorevole o indifferente alla decisione di Trump sui migrati. Ovviamente, in qualsiasi contesto, coloro che si impegnano, e rumorosamente, in prima persona sono sempre una minoranza, e i rappresentanti politici tendono ad ascoltare le minoranze più attive, nella convinzione che poi trascinino con sé anche le maggioranze silenziose e ben poco propense alla disobbedienza civile. Ma non sempre accade così. Anche durante la campagna elettorale sembrava che Trump catalizzasse lo sdegno generale per i suoi comportamenti e i suoi annunci. Poi ha trionfato e ora siede alla Casa Bianca. Per tale motivo non bisogna stupirsi delle proteste né bisogna sopravvalutarle, in questo caso e in altri. Da sole, anche se visibili, le minoranze non sempre sono in grado di smuovere i governanti, i quali possono comunque appellarsi alle maggioranze che non si esprimono, se non nel voto. La lezione è che se si vuole ottenere un risultato, bisogna fare sentire la propria voce. E unirla a quella di coloro che sono già mobilitati, restando consapevoli di quali sono le proporzioni numeriche e le procedure stabilite. La democrazia rappresentativa ha regole precise che, a dispetto dei populismi arrembanti, è bene restino salde.