Kievgate. Lascia l'inviato Usa in Ucraina. «Entro fine mese l'impeachment a Trump»
Si è dimesso Kurt Volker, l'inviato speciale Usa in Ucraina (Ansa)
Cade la prima testa nel Kievgate. L'inviato speciale degli Usa in Ucraina Kurt Volker ha rassegnato le dimissioni, dopo essere stato convocato dal Congresso nell'ambito delle indagini sul procedimento di impeachment contro il presidente Usa Donald Trump. Volker mise in contatto l'avvocato personale di Trump, Rudy Giuliani, con un alto collaboratore del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj. Giuliani a Sky News: «Vorrei testimoniare davanti al Congresso, il presidente non ha fatto una sola cosa sbagliata».
Il cerchio attorno Donald Trump si stringe. Secondo il New York Times, gli articoli di accusa per l’impeachment del presidente Usa potrebbero essere redatti entro fine ottobre. E ieri, la speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha confermato che i democratici si muoveranno «rapidamente», anche se «non avventatamente». Nell’ambito del “Kievgate”, i buchi neri sono molti e il partito dell’asinello vuole che chi sia a conoscenza delle possibili pressioni di Trump sull’Ucraina per un’indagine sul vice presidente Joe Biden, si faccia avanti prima che la Casa Bianca abbia modo di intimidirlo. «Siamo in guerra, voglio sapere chi è la spia», ha dichiarato Trump giovedì sera, nel corso di un evento a porte chiuse negli uffici della rappresentanza Usa all’Onu, spiegando che chi ha rivelato informazioni sulla sua telefonata con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è «una spia» e ricordando che in passato «le spie e i traditori venivano trattate in maniera molto diversa», alludendo al plotone di esecuzione.
La cautela è d’obbligo anche per gli avversari di Trump: la procedura per rimuovere il presidente dal proprio incarico rischia di polarizzare ulteriormente il Paese a danno proprio delle aspirazioni democratiche nel 2020. La Commissione intelligence della Camera proseguirà i lavori durante le prossime due settimane al fine di preparare una nuova udienza. In cima alla lista dei testimoni l’ex funzionario Cia che ha lanciato l’allarme contro Trump, ma – anche a costo di dover emettere mandati di comparizione – pure l’avvocato personale del presidente, Rudy Giuliani, nonché il segretario di Stato, Mike Pompeo, e una dozzina di alti funzionari del dipartimento che avrebbero ascoltato la telefonata del 25 luglio scorso. Giuliani – che secondo il Washington Post a partire dal 2018 incontrò ben cinque procuratori ucraini dai quali ottenne informazioni sul figlio di Biden – si considera un eroe per aver portato alla luce atti di corruzione, ma il dipartimento di Stato, ha già preso le distanze, mettendo in chiaro che «non parla per conto del governo Usa».
E, mentre si sta incrinando il sostegno repubblicano al presidente – con il governatore del Vermont, Phil Scott, e quello del Massachusetts, Charlie Baker ora a favore dell’inchiesta di impeachment – le ripercussioni si fanno sentire anche a livello internazionale. «I colloqui tra capi di Stato sono classificati», ha sottolineato ieri il Cremlino, augurandosi che la trascrizione delle telefonate tra Trump e il presidente Vladimir Putin non vengano rese pubbliche visto che «ci sono già abbastanza problemi nelle relazioni bilaterali» tra Stati Uniti e Russia.