Usa. Trump condannato a pagare 83 milioni di dollari alla scrittrice Jean Carroll
La scrittrice Jean Carrol, al centro, lascia il Tribunale
Seconda condanna civile a New York per Donald Trump nel caso Jean Carroll e nuova batosta giudiziaria in piena campagna elettorale per la Casa Bianca: una giuria di sette uomini e due donne lo ha condannato a pagare complessivamente 83,3 milioni di dollari di risarcimento per aver diffamato la scrittrice statunitense, negando nel 2019 - quando era presidente - una aggressione sessuale di quasi 30 anni fa in un locale dei lussuosi grandi magazzini Bergdorf and Goodman, sulla Fifth Avenue di Manhattan. Trump non era in aula alla lettura del verdetto.
Si tratta di una somma astronomica, molto più alta di quella attesa, tra i 18,3 milioni di danni “compensatori” (per lo stress emotivo, il danno alla reputazione e quindi il mancato guadagno) e ben 65 milioni di danni punitivi (come deterrenza contro ulteriori diffamazioni). La difesa di Carroll aveva chiesto 24 milioni di dollari. Lo scorso maggio il tycoon era già stato riconosciuto responsabile della stessa violenza, oltre che di diffamazione, e costretto a pagare 5 milioni di dollari.
L'episodio risale a agli anni '90. Trump aveva detto prima di non conoscere Jean Carroll, poi l'aveva accusata di cercare pubblicità per vendere il suo libro. Di qui la causa legale.
Immediata la reazione di Trump sul suo social Truth: «Assolutamente ridicolo! Sono completamente in disaccordo con entrambi i verdetti e farò appello contro tutta questa caccia alle streghe diretta da Biden contro di me e il Partito Repubblicano. Il nostro sistema legale è fuori controllo e viene utilizzato come arma politica. Hanno eliminato tutti i diritti del Primo Emendamento. Questa non è l'America!».
Dopo la sentenza, l'ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Nikki Haley, ha attaccato Trump, suo rivale nella nomination repubblicana per le elezioni presidenziali del prossimo novembre: «Gli Stati Uniti meritano di meglio di Donald Trump e Joe Biden».
Il processo e le accuse
Il verdetto arriva alla fine di un processo tesissimo, dove Trump è stato minacciato di essere espulso dall'aula per le sue intemperanze e i suoi commenti a voce alta contro la sua accusatrice. Così come uno dei suoi avvocati stato minacciato di finire in galera per aver continuato l'arringa oltre il tempo concesso. Il tycoon è riuscito a testimoniare giovedì soltanto per pochi minuti: il giudice gli aveva consentito di rispondere solo con un sì o un no alle domande, per evitare di trasformare il processo in un comizio elettorale, come tenta di fare l'ex presidente in tutte le occasioni. Così non ha potuto che confermare la sua precedente deposizione, ossia che non ha mai incontrato ne' aggredito Carroll. «È una menzogna, e poi non era neppure il mio tipo» aveva detto in passato, continuando non solo a negare l'episodio ma accusando la scrittrice di aver cercato un po' di pubblicità per vendere le sue memorie, quelle dove rivelò per la prima volta l'aggressione.
Secondo la versione della donna, il tycoon le usò violenza quasi 30 anni fa in un camerino di prova di Bergdorf and Goodman, i lussuosi grandi magazzini sulla Fifth Avenue di Manhattan, dove lui le aveva chiesto consigli per regalare degli indumenti intimi ad un'amica. Una denuncia ritenuta fondata lo scorso maggio. Per questo in questo secondo processo la giuria doveva solo limitarsi a stabilire i danni dell'ennesima diffamazione. Ma il verdetto è andato oltre ogni previsione e assesta un brutto colpo all'ex presidente, anche agli occhi dell'elettorato femminile. «Donald Trump ha distrutto la mia reputazione e ha continuato a mentire. Un tempo ero una rispettata editorialista, ora sono conosciuta come una bugiarda, una truffatrice e una matta» si era difesa Carroll in aula citando le offese subite sui social. «E ora sono qui per riprendermi la mia reputazione» aveva spiegato.