Las Vegas. Trump: limiti alle armi? «C'è tempo», il killer è «folle molto malato»
«È stato un atto terrificante, di pura malvagità». Il presidente Donald Trump si è rivolto al Paese dopo la strage di domenica notte a Las Vegas, unendosi agli americani «nel dolore, nello choc e nel lutto », e ordinando le bandiere a mezz’asta in segno di cordoglio nazionale. Pregando per le vittime, per i feriti e per le loro famiglie affinché ricevano forza e consolazione da Dio, il presidente – che domani andrà in Nevada per visitare i feriti – si è appellato all’America perché trovi unità e pace». «Nei momenti più tragici, questo Paese ha sempre trovato compattezza », ha ricordato il leader repubblicano, sottolineando che il senso di unità e di amore che definisce l’America non potrà mai essere corrotto dalla violenza.
Il messaggio – che ha anche preso atto del «miracoloso intervento» delle forze dell’ordine e dei soccorritori, «la cui prontezza ha salvato molte vite» – era esattamente ciò di cui gli americani avevano bisogno in quel momento: consolazione e rassicurazione. Così, il presidente si è potuto tenere ben lontano dallo spinoso tema della diffusione delle armi in America. Tendenza confermata anche oggi, quando, partendo per raggiungere Porto Rico devastato dal passaggio dell'uragano Maria, ha definito il killer di Las Vegas «un individuo molto, molto malato, un folle pieno di problemi». Quanto alle leggi sulle armi, ha continuato, «con il passare del tempo ne parleremo».
«C’è un tempo e un luogo per il dibattito politico, ma non è ora», ha detto chiaro e tondo la portavoce della Casa Bianca, Sarah Sanders. I dati, però, sono lì da vedere. E sono allarmanti. Sempre di più. In base a un rapporto che verrà pubblicato oggi dall’Istituto di ricerche internazionali Archivio e Disarmo (Iriad), le armi circolanti negli Usa sono aumentate costantemente negli ultimi otto anni, toccando il tetto di 270 milioni di unità nel 2015 (ultimi dati definitivi disponibili), e provocando la morte di 36.252 persone: quasi 100 al giorno. Quest’anno, secondo le stime, le armi circolanti nel Paese dovrebbero raggiungere la quota di 310 milioni. Va detto che anche l’ex presidente Barack Obama, forte sostenitore del controllo sul porto d’armi, ha preferito non fare polemiche nel giorno del dolore, limitandosi a twittare che, insieme a Michelle, prega per le vittime. Al contrario, la ex sfidante democratica alla presidenza, Hillary Clinton, ha scelto di andare dritta al punto: «Il nostro dolore non è abbastanza – ha commentato –. È necessario prendere posizione contro la National Rifle association» (Nra), la cosiddetta lobby delle armi.
Alla luce di quanto successo, la questione, prima o poi, dovrà essere affrontata da Donald Trump. Anche perché, durante la corsa elettorale del 2016 come candidato del Gop, aveva promesso con forza di difendere il Secondo emendamento della Costituzione Usa (che garantisce il diritto degli americani a possedere armi da fuoco) e accettato sia le donazioni della Nra – che sul tycoon ha “investito” oltre 30 milioni di dollari – che la “vision” della lobby delle armi (per combattere la violenza si devono armare i cittadini). Un deciso cambiamento di rotta rispetto a quando, 17 anni fa, Trump si dichiarava «a favore del bando sulle armi da assalto», e anche un netto dietrofront rispetto alle dichiarazioni rilasciate nel 2012, quando si schierò al fianco dell’allora presidente Barack Obama nel condannare la diffusione delle armi dopo il massacro di Newtown. La strage della scuola elementare Sandy Hook in Connecticut – dove furono uccisi 20 bambini e sei adulti – aveva spinto il leader democratico a una serie di mosse decisive: la creazione di una task force guidata dal vicepresidente Joe Biden per affrontare il problema; la firma di 23 ordini esecutivi sul controllo delle armi; la richiesta al Congresso di approvare misure che limitassero, tra l’altro, l’accesso ad armi di tipo militare, il numero di munizioni disponibili nei caricatori, e che estendessero il controllo sul background dei portatori d’armi. Purtroppo, i risultati non sono stati quelli sperati. Nei fatti, come evidenziato dal dossier dell’Iriad, a cura di Nicolò Scarpat, dal 2009 al 2016, la spesa americana in armi e munizioni è salita a 46 miliardi dollari: una cifra maggiore di quella registrata durante le presidenze Clinton e Bush messe insieme.
L’ipotesi condivisa è che ci sia stata una “corsa all’accumulo” in previsione di un giro di vite sugli acquisti e sul rilascio del porto d’armi. Anche la frequenza delle stragi avvenute durante i due mandati presidenziali di Obama avrebbe spinto gli americani a cercare di difendersi da potenziali rischi acquistando un’arma. E anche la distribuzione mostra un quadro preoccupante. Metà dei 270 milioni di pistole e affini sono nelle mani del 3% della popolazione, il che significa che 7,6 milioni di persone posseggono una media di 17 armi a testa.