Il premier Khalifa Ghwell, ostile al
governo unitario di Fayez Sarraj, "ha lasciato Tripoli": lo
afferma Libya Herald, secondo il quale il responsabile libico "è
tornato nella sua città natale a Misurata". Stando al resoconto del sito,
l'ufficio del premier "è stato occupato da elementi del comitato
temporaneo della presidenza, i file e i computer sono stati
confiscati". La decisione di lasciare la capitale è arrivata
"dopo che il consiglio degli anziani di Misurata ha minacciato
di destituire" lo stesso Ghwell.
"Gli hanno detto che era finita e doveva lasciare. Se non se
ne fosse andato lo avrebbero rimosso", afferma una fonte al
quotidiano.
La delegazione di Misurata si è "poi recata a piazza dei
Martiri, dove uno dei leader delle milizie, Salah Badi, aveva
organizzato una manifestazione contro Sarraj. Anche a lui hanno
detto di andarsene, e Badi lo ha fatto".Una televisione occupata manu militari, l’aeroporto della capitale ancora chiuso, scontri e uomini armati nelle strade. Il ritorno alla norma-lità, del quale l’insediamento a Tripoli del governo di unità nazionale guidato dal premier Faeyz al-Sarraj doveva essere il segno tangibile, resta per la Libia una chimera. Due giorni fa si è concluso il (paradossale) iter di insediamento del nuovo esecutivo libico, costretto, letteralmente, a sbarcare nei pressi di Tripoli, dato che lo spazio aereo della capitale era stato chiuso proprio per impedire l’arrivo di Sarraj – che ha indicato nella sharia, la legge islamica, la fonte di ogni legislazione. L’Italia ha assicurato, con il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni che ha telefonato a Sarraj, pieno sostegno. E nell’immediato, aiuti alimentari e medici per un milione di euro (860 tonnellate di aiuti alimentari e di kit sanitari per la cura di 30.000 persone). E il premier Matteo Renzi, dagli Usa ha ribadito la posizione italiana: «Dobbiamo attaccare i terroristi in Siria, in Nordafrica, nei vari Paesi. È vero, esiste questo problema. Ma questa non è la nostra unica risposta. Se l’unica risposta fosse di bombardare la Siria o altri luoghi, penso che non saremmo all’altezza della sfida». L’esecutivo libico, che dovrebbe pacificare un Paese lacerato, ostaggio delle milizie e alle prese con l’inquietante presenza del Daesh, è stato “accolto” dalle bellicose parole premier “ribelle” Khalifa Ghwell: «Al-Sarray ha solo due possibilità: abbandonare la capitale o essere arrestato». Ghwell – che è stato raggiunto assieme il presidente del Parlamento Nouri Abu Sahmain, ed uno di Tobruk, il presidente del Parlamento Aguila Saleh dalle sanzioni decise dalla Ue, sotto forma di congelamento dei beni e divieto di viaggio – ha tenuto la conferenza stampa in un’emittente satellitare che, poco dopo, è stata assalita da uomini armati ed è stata chiusa. Un giornalista ha affermato che nessun dipendente della Tv è stato ferito. L’emittente
al Nabaaè considerata vicino alle autorità che controllano Tripoli: sospese le trasmissioni, il canale è stato oscurato con una scritta: «Gli abitanti di Tripoli hanno serrato questa emittente, che incita alla guerra e all’odio. Denunceremo chiunque continui a lavorarvi». Uomini armati hanno poi presidiato le principali arterie viarie della città. Mentre è rimasto chiuso anche ieri l’aeroporto di Mitiga, l’unico funzionante a Tripoli, per «motivi di sicurezza ». Controcorrente le dichiarazioni del colonnello Abdel Rahman al-Tawil, capo della Commissione sicurezza del Consiglio presidenziale del governo di unità nazionale: «La situazione della sicurezza a Tripoli è assolutamente tranquilla. La presenza di uomini armati nella capitale serve a proteggere i cittadini e i luoghi sensibili di Tripoli e a consentire il normale svolgimento delle attività nella città». Altro episodio dai contorni “misteriosi” si è verificato a Misurata. Secondo quanto riportato dall’emittente
Sky news Arabiya, due navi cariche di armi ed esplosivo sono saltate in aria mentre erano ormeggiate nel porto della città. Il nodo, che rischia di strangolare il Paese, resta lo stesso: il monopolio della forza. La fragile creatura istituzionale, sponsorizzata dall’Onu, sarà in grado di smantellare, fronteggiare (o integrare) le milizie che spadroneggiano nel Paese? La fragile tessitura delle Nazioni Unite reggerà all’urto della violenza? Per l’inviato dell’Onu per la Libia, Martin Kobler, non ci sono altre vie: è necessario la revoca dell’embargo sulle armi in vigore contro la Libia. «L’esercito libico – ha detto – ha bisogno di armi nella sua guerra al terrorismo», e «senza sicurezza non ci sarà nessuna stabilità economica». Kobler ha poi rilanciato l’appello a sostenere il «coraggioso » governo libico: «Oggi è importante sostenere la legittimità del governo di unità nazionale e fare pressioni affinché venga accettato», perché «è chiaro che l’opposizione non arriva dalla gente. Quelli che pongono ostacoli lo fanno contro la volontà popolare».