No man's land. Anche l'illegalità ha un prezzo da pagare sulla Triple frontera
Ciudad del Este, in Paraguay, è epicentro di traffici criminali e là da tempo è radicato Hezbollah
I piedi sono posati in Argentina. Oltre il corso del Rio Iguazú, dalle inconfondibili acque dorate, c’è il Brasile. A sinistra, sull’altra sponda del Paraná, si intravede il Paraguay. Da qui, Puerto Iguazú, Foz do Iguaçu e Ciudad del Este si abbracciano con un solo sguardo. “Trifinio”, è il termine tecnico: il punto dove convergono tre frontiere e altrettanti Paesi. “Hito tres fronteras” si chiama il belvedere situato alla confluenza esatta tra i due fiumi. Difficile, però, immaginare questo paesaggio uniforme di terra rossa e alberi immensi spezzettato fra nazioni differenti.
Eppure, qualche chilometro più giù ci sono i check-point che regolano il flusso sul ponte internazionale Tancredo Neves tra Puerto Iguazú e Foz do Iguaçu e su quello dell’Amicizia, fra Foz e Ciudad del Este. Una marcia caotica di auto e persone. Nei giorni normali, passano almeno ventimila macchine, altri cinquantamila attraversano a piedi. Al tramonto, lo sterminato emporio a cielo aperto formato dalle tre città chiude i battenti per riaprire all’alba successiva.
Un mercato di 2.500 chilometri quadrati in cui si compra e si vende qualunque cosa – dalle coperte ai Kalashnikov, dai cellulari alla cocaina –, legale o illegale, per un totale di oltre venti miliardi di dollari all’anno, secondo le stime degli analisti. La più grande economia illegale dell’emisfero occidentale, sostiene Washington. Ecco perché nonostante al mondo esistano 157 “trifini”, di cui tredici in America Latina, nessuna è così famosa come la “Triple frontera”. Tanto da aver ispirato romanzi e perfino un film su Netflix. Nell’immaginario collettivo, “Triple frontera” è sinonimo di “No man’s land”, di terra senza padroni. La realtà, però, è ben più complessa della narrativa. «Se consideriamo l’indice di omicidi, si tratta di una regione molto meno violenta di vari centri urbani», sostiene Brigida Renoldi, antropologa del Centro nacional de investigacione científicas y técnicas (Conicet) e direttrice dell’Istituto di studi sociali di Posadas, a trecento chilometri a sud di Iguazú, sempre nella provincia argentina di Misiones, una delle più povere dell’Argentina. Con l’attuale crisi, ancora di più.
«Se una persona non ha lavoro né risorse e ha l’opportunità di importare merci dal Paese confinante per rivenderle, è normale che lo faccia», sottolinea la studiosa. Per comprendere i meccanismi di funzionamento della “Triple frontera” occorre distinguere tra contrabbando e criminalità organizzata. «Il primo da parte della quotidianità delle tre città. È radicata da sempre ed è socialmente accettata tanto da non essere considerata delitto dalla maggior parte delle persone – afferma Pamela Leite, ricercatrice e giornalista –. I residenti di Iguazú, Foz e Ciudad del Este considerano la frontiera triplice un tutt’uno. Un’unità distinta dalle diverse nazioni che la compongono. Non si sentono, dunque, argentini, brasiliani o paraguaiani. Per questo, per loro è naturale comprare oggetti elettronici a Ciudad del Este, olio e carburante a Iguazú, alimenti a Foz, in base a prezzo e qualità. Ed è naturale anche prendere qualcosa da rivendere, approfittando delle differenze di cambio. Per la gran parte dei lavoratori dei gruppi popolari è un modo “legittimo” di integrare il salario». Le autorità, in genere, hanno poco interesse a interrompere il flusso, che funge da valvola di sfogo sociale in una zona marginale. Certo, ciclicamente ci sono retate e arresti. Passata la bufera mediatica, però, il business riprende indisturbato. Più dei controlli, a imprimergli una brusca frenata negli ultimi mesi, almeno dal lato argentino, è stata la recessione. «Il fatto è che i consumi sono crollati. La gente non ha più soldi per comprare nulla da contrabbandare», aggiunge Pamela Leite.
A differenza del commercio illegale, il crimine organizzato non conosce crisi. È questo il vero motore – occulto, a differenza del contrabbando – della Triple frontera. L’epicentro è la paraguaiana Ciudad del Este. Un enorme suq di grattacieli, centri commerciali e baraccopoli dove vivono più di 300mila persone, sette volte la popolazione di Iguazú. Con tre aeroporti internazionali nei paraggi, una folla di commercianti e turisti in perenne movimento e delle istituzioni deboli, è facile mimetizzarsi per le mafie. La posizione è strategica. Ciudad del Este è il trampolino da cui i narcos brasiliani – in particolare il Primeiro comando da capital (Pcc) – fanno fluire la coca attraverso la cosiddetta “idrovia del Paraná” fino al porto argentino di Rosario e da lì verso l’Europa. Il corridoio – su cui si stimano vi siano almeno 34 porti clandestini - è attivo da tempo. Negli ultimi anni, però, il volume di droga trafficata è cresciuto notevolmente a causa del crescente protagonismo del Pcc e della rotta atlantica nel narcotraffico globale. I sequestri lo confermano: le autorità brasiliane hanno intercettato 167 tonnellate di cocaina e marijuana nel 2023, ventuno in più dell’anno precedente. Più ancora del narcotraffico, a preoccupare è la crescita del commercio di armi, soprattutto leggere. Il Paraguay ne è diventato – come ha detto lo stesso ministro della Difesa, Jalil Rachid – snodo cruciale a livello internazionale. A dicembre, l’operazione Dakovo ha rivelato una grande rete tra Europa e America Latina che avrebbe fornito a narcos brasiliani e gruppi criminali non meglio identificati oltre 25mila pistole e fucili prodotti in Turchia, Slovenia, Croazia e Repubblica Ceca grazie alla complicità di militari paraguaiani incaricati dei rifornimenti alla Difesa.
Il business delle armi e il riciclaggio sono ritenuti indizi potenziali di un fenomeno ancora più inquietante: il terrorismo. Fin dagli anni Novanta, la Triple frontera è sotto i radar delle intelligence internazionali per la presenza di Hezbollah che dai traffici sulle rive del Paraná ricaverebbero risorse finanziarie con cui finanziare l’organizzazione. Nel dicembre 2006, il dipartimento del Tesoro Usa ha intercettato una lettera in cui il capo dell’organizzazione filo-iraniana Hassan Nasrallah in persona ringraziava la cellula latinoamericana – guidata, secondo le autorità, dal clan Barakat – per l’importante contributo. Washington ha accusato perfino l’ex presidente Horacio Cartes e l’ex vice Hugo Velázquez di avere legami con la milizia. Con oltre un miliardo di dollari di transazioni commerciali in contanti al mese a Ciudad del Este i modi per occultare il denaro sporco non mancano. Da quando Teheran è sotto sanzioni statunitensi, Hezbollah ha incrementato il giro d’affari nella regione alla ricerca di fonti di introiti alternative. Con il conflitto in Medio Oriente c’è stata un’ulteriore accelerazione. Alla fine di novembre, l’operazione Trapiche, realizzata dalla polizia brasiliana in collaborazione con Mossad e Fbi, ha portato alla cattura di tre presunti dirigenti di Hezbollah. La notizia ha fatto salire la tensione nella Triple frontera. I tre Paesi hanno aumentato i controlli. «Ciudad del Este ha spostamenti di merci inferiore solo a Hong Kong e Miami – dice un funzionario di polizia che chiede di non essere identificato – e 6,5 milioni di persone in perenne movimento. È come voler svuotare il mare con un secchiello. La Triple frontera è un animale feroce. Non si può ammansire».
6. Fine
(Le precedenti puntate
sono state pubblicate
il 28 gennaio, il 4, l’11, il 18 febbraio e il 2 marzo 2024