Ucraina. Transnistria, vince solo la paura: «Vogliono trascinarci in guerra»
Un vecchio tank sovietico è stato posizionato davanti alla chiesa ortodossa nel centro di Tiraspol
«Appena finita la Messa sono venuti da me degli uomini. E si sono qualificati». Niente giri di parole: «Deve smetterla. Lei usa argomenti estremisti. Questo è il nostro ultimo avvertimento». Erano uomini del Kgb, il servizio segreto di Tiraspol, che non solo nel nome ha mantenuto i modi degli 007 dell’Unione sovietica a cui si ispirano i boss, tra affari e politica, della ribelle Transnistria. Padre Janus aveva parlato «dell’importanza della pace contro la cultura della guerra ». Troppo per chi il conflitto lo chiama «operazione speciale » e da anni propina alla popolazione che la presenza dei militari di Mosca in Transnistria è una «forza di pace» e non una occupazione mascherata.
Quella domenica il parroco ha capito che la guerra era arrivata tra la sua gente, prima ancora delle tre granate lanciate due giorni fa contro la sede dei servizi segreti. E in anticipo sui sabotatori, con una certa esperienza da “guastatori”, che ieri all’alba hanno abbattuto le torri che rilanciavano in Transnistria e sull’Ucraina meridionale le emittenti di stato di Mosca. Da oggi l’enclave separatista viene sigillata. I militari russi della “forza di pace” per tutto il giorno hanno installato pesanti blocchi di cemento sulle strade, mentre gli ultimi fuggiaschi provavano a lasciare l’enclave separatista filorussa in territorio della Moldavia, con il confine nord interamente esposto sulla regione ucraina di Odessa, la perla del Mar Nero che Mosca continua a bersagliare. Mai come negli ultimi due giorni si sono viste colonne di auto in uscita dalle dogane fantasma.
Molte le auto con targa ucraina. Nella repubblica autoproclamata, infatti, il 40% dei 450mila abitanti sono di origine ucraina. Durante le prime settimane si guerra molti sfollati di Odessa, Mikolayv e Cherson è sembrato naturale chiedere riparo ai parenti di città transinstriane come Tiraspol e Grigoriopol. «Sappiamo che l’amministrazione locale è guidata in realtà da Putin in persona – dice una donna arrivata da qui con i due figli agli inizi di marzo –, ma non sapevo dove andare e mia cugina si è offerta di accoglierci ». Ora, insieme, si preparano a scappare anche da qui.
Erano quasi 25mila i profughi ucraini giunti in questa che è u- na fortezza della criminalità internazionale, ma la gran parte ha ripreso il viaggio per mettere quanti più chilometri tra sé e qualsiasi bandiera che sia tenuta in considerazione dalla Russia. La regione è a un passo dall’isteria. Vadim Krasnoselsky, leader della Transnistria, ha esortato il governo di Chisinau a «non cedere alle provocazioni » di chi intende trascinare il Paese in un conflitto armato. Parole che alludono a un presunto ruolo di gruppi di sabotatori filoucraini. La presidente moldava Maia Sandu ha reagito con un nuovo appello alla calma, pur ordinando l’innalzamento dell’allerta in tutto il Paese.
Un rifugio antiaereo nel sotterraneo di una chiesa cattolica in Transnistria - .
Nelle parole pronunciate in pubblico Sandu tende a mitigare la paura. Il rischio sarebbe quello di vedere da un momento all’altro centinaia di migliaia di moldavi ammassarsi al vicino confine romeno. La presidente della Moldavia ha sostenuto che gli attacchi a Tiraspol e a nord di Grigoriopol, sono un tentativo di alcune fazioni favorevoli al conflitto per trascinare la regione nella guerra contro l’Ucraina. Il Cremlino ha reagito con toni non troppo vagamente minacciosi: «Vogliamo evitare uno scenario in cui ci si veda costretti a intervenire nella regione». Perciò i servizi di sicurezza moldavi, che negli ultimi tempi hanno ospitato un andirivieni di personale americano, sostengono che gli attacchi in Transnistria, senza morti né feriti, sono «pretesti per creare una escalation».
Fino ad ora si era spesso parlato di una guarnigione russa di 1.500 uomini destinati a stabilizzare la zona. Ma in queste giorni diverse fonti hanno confermato ad Avvenire che i militari russi sono nel frattempo raddoppiati. Oltre alla “forza di pace” che reca insegne riconoscibili sulle divise, abbiamo potuto osservare decine di altri soldati russi. Proprio funzionari di Tiraspol hanno ammesso che in effetti si sono aggiunti 1.400 uomini un gigantesco deposito di armi postsovietico e assicurano «la piena efficienza dell’equipaggiamento ». Parole che suonano come una velata minaccia. La presenza delle truppe russe ha sollevato il timore che Mosca possa usare Tiraspol come piattaforma di lancio per nuovi attacchi all’Ucraina, stringendo a tenaglia la provincia di Odessa. Il 23 aprile un alto funzionario militare russo ha detto che la “seconda fase” di quella che Mosca chiama «operazione militare speciale» include un piano per prendere il pieno controllo dell’Ucraina meridionale e «migliorare il suo accesso alla Transnistria».
Secondo Kiev proprio Mosca potrebbe inscenare attacchi “false flag”, pianificati per apparire come un attacco da attribuire ai nemici. Accusa che da Tiraspol viene respinta, sostenendo che siano degli infiltrati ucraini ad avere compiuto i due attacchi di questi giorni così da trascinare la repubblica separatista nello scontro, allo scopo di impegnare le forze russe su un fronte più ampio e destabilizzando un’area che arriva fino alla Romania, Paese Ue che aderisce alla Nato. «Temo le provocazioni che possono partire da dentro il nostro Paese – ha detto al Sir il vescovo di Chisinau, Anton Cosa – e che rischiano di dare ai russi un pretesto in più per intervenire». La diocesi moldava comprende anche sei parrocchie della Transnistria. Come quella della Santissima Trinità di Tiraspol, che si sta attrezzando in caso di guerra. Il parroco Piotr Kuszman per tutto il giorno ha ricevuto materassi, cuscini, coperte, viveri, dolci per i bambini.
«Siamo qui sotto terra e porteremo qui i bimbi che accogliamo nel centro Petruska – dice mentre ci mostra l’improvvisato rifugio –. Abbiamo anche acquistato bottiglie di acqua e cibo a lunga conservazione». Gli attentati degli ultimi due giorni, infatti “non hanno generato paura – racconta il dehoniano di origini polacche – ma vero e proprio panico». Per le strade c’è meno gente del solito. Chi è in giro dice che la guerra non arriverà mai qui. Molti si premuniscono. Chi scappando, chi valutando e non sia il caso di cambiare passaporto. Circa 220.000 hanno la cittadinanza moldava, 240.000 hanno quella russa e 130.000 quella ucraina. Tra questi due ultimi gruppi sono però cresciute le domande di cittadinanza moldava, nella speranza di poter trovare un riparo stabile fuori dalla Transnistria oppure di farsi trovare pronti se una guerra dovesse espellere le forze russe e riannettere la regione alla Moldavia. Uno scenario di guerra che molti vorrebbero scongiurare ma che nessuno si sente davvero di escludere.