Mondo

La guerra in Europa. Transnistria, dove il silenzio di Putin vale più di una minaccia

Nello Scavo - Inviato a Bender (Transnistria) giovedì 29 febbraio 2024

L’ingresso in Transnistria, la regione separatista in territorio della Moldavia, non riconosciuto internazionalmente

Il silenzio di Putin agita la politica moldava e fa dormire i contadini ucraini con la finestra socchiusa. Dai due lati del confine con la Transnistria, quello ucraino e quello moldavo, non è che avrebbero preferito una dichiarazione di guerra, «ma non sappiamo cosa aspettarci», reagisce il pescatore di carpe moldavo. Dalla parte opposta, sul lato ucraino, guardano verso Tiraspol con uguale angoscia. «Mi spaventa che un giorno dietro quella collina possa esserci la Russia», dice la vecchietta con il cappellino fatto a maglia mentre si ingobbisce al solo pensiero di quello che potrebbe accadere. Appena il giorno prima il “soviet” transnistriano aveva chiesto soccorso alla Russia contro la Moldavia. E ieri Putin non ha detto una parola. «Avrà in mente qualcosa, questione di tempo e vorrà conquistarci», preconizza l’autista dei bus sulla linea Chisinau-Odessa.

Il governo moldavo alterna toni allarmati a parole rassicuranti. Ma è in Ucraina che temono un bluff di Putin. Ieri il presidente russo non ha menzionato la richiesta di protezione lanciata da Tiraspol solo il giorno prima. Ma a Kiev vi è il sospetto che prima a poi la regione secessionista possa essere usata per tentare una morsa a tenaglia su Odessa. Dall’Ucraina meridionale i sindaci spandono ottimismo, ma intanto stanno attaccati al telefono per sapere dai comandi militari quanti uomini stanno mandando. Le forze russe dispiegate in Transnistria «non rappresentano una minaccia» per Kiev. Lo ha assicurato la portavoce del comando delle operazioni sud, Natalia Humeniuk: «La situazione resta sotto controllo, la frontiera è protetta e fortificata».

L’enclave non riconosciuta, a maggioranza russofona, occupa un lembo di terra lungo il confine orientale dell’Ucraina. La regione si è staccata dall’allora Moldavia sovietica, dove domina la lingua rumena, nel 1990. Dopo la dissoluzione dell’Urss i separatisti filorussi hanno combattuto una breve guerra con le forze governative di Chisinau. Temevano che la Moldavia potesse un giorno diventare parte della Romania, come lo era stata prima che l’Unione Sovietica ne prendesse il controllo nel 1940. Mosca aveva contribuito a mediare la fine dei combattimenti nel 1992 e una forza di pace russa di quasi 1.500 persone è tuttora presente. Ma si tratta di numeri forniti dall’autorità regionale.

Altre fonti moldave sostengono che il numero sarebbe superiore e che complessivamente Tiraspol potrebbe contare su un esercito di 15mila uomini. Le relazioni tra Chisinau e Mosca sembrano definitivamente logorate e nel prossimo ottobre la Moldavia voterà per l’elezione del presidente e contemporaneamente un referendum per inserire nella costituzione l’impegno ad aderire all’Unione Europea. Le forze filorusse legate agli oligarchi moldavi inseguiti dai mandati di cattura e riparati a Mosca, spingono per il ritorno tra le braccia del Cremlino. L’economia della Transnistria è dominata da un sigla: “Sheriff”. Se per le strade ogni angolo rimanda alla decadenza sovietica, Sheriff è un invece un conglomerato nel quale sopravvivono il modello oligarchico e quello del più selvaggio capitalismo. Carburante, supermercato, fast food, la celebre squadra di calcio che nel 2021 batté il Real Madrid in Champion League, tutto si chiama Sheriff.

Uno dei vantaggi della protezione di Mosca è la bolletta del gas, concesso dal fornitore russo a tariffa zero. mentre più salato è il conto per i cittadini moldavi che attingono alla stessa rete e che spesso si lamentano per l’eccessivo costo dell’energia. Sulla Carta Gazprom emette regolari fatture, ma accetta che non siano pagate. Se la Moldavia di punto in bianco volesse riconquistare la Transnistria, il governo russo potrebbe chiedere a Chisinau il pagamento degli arretrati, che oggi ammontano a quasi 10 miliardi di euro. È uno dei ricatti del Cremlino. Non l’unico. Dei 450mila abitanti, più di 220mila hanno la cittadinanza russa. E aspettano che dal Cremlino arrivi solo un segnale.