Reportage. Tra i soldati ucraini dove cova la delusione. E Mosca vuole riprendere Kursk
Uno degli edifici colpiti dall’artiglieria russa. BIlozerka, nel sud dell’Ucraina
A Bilozerka anche ieri due capanni sono stati distrutti dall’artiglieria russa, che dista meno di 3 chilometri dall’altra parte del fiume. Nel giugno di un anno fa l’intero abitato venne travolto dall’inondazione provocata dalla distruzione della diga di Kakhovka. Di gente ne continua a morire ogni settimana, come accadde a padre Mykola Palyahniuk, ucciso nei giorni dell’inondazione mentre distribuiva aiuti agli sfollati. La buona notizia è che oggi piove e tira un vento che a terra supera i 30 chilometri orari, e in quota è del quadruplo. «Quando è così, i droni iraniano non possono volare, e neanche i miei quadricotteri», sospira Vlad: «Stamattina non uccidiamo nessuno». I giubbetti antiproiettile restano però allacciati, perché le intemperie non fermano gli artiglieri. Da Kiev alla Crimea il fiume percorre i sentieri di guerra attraverso la centrale atomica di Zaporizhia e il dedalo di canali che a Kherson tengono i russi al di là dell’argine, ma troppo vicino al centro città. Ieri i cannoni di Mosca hanno demolito un intero edificio in pieno centro, fortunatamente disabitato. Quando i vigili del fuoco hanno tentato di fermare la propagazione del rogo, cecchini e granatieri hanno ripreso il tiro a segno impedendo ai soccorritori di intervenire, fino a quando il fuoco di copertura ucraino non è riuscito a tappare per qualche ora le bocche da piombo dei moscoviti.
Vigili del fuoco sotto i colpi dell’artiglieria anche durante i soccorsi dopo i raid a Kherson - Governatorato di Kherson
«Era questa la differenza tra noi e loro. I russi uccidono per Putin, noi per difendere la nostra gente», bisbiglia Vlad, come se volesse tenere per sé il tarlo della sfiducia. Dice che questa «era» la differenza, perché adesso «noi per cosa e per chi stiamo combattendo?». Delle volte la distanza tra Kiev e la prima linea sembra allargarsi. Il soldato che nel 2022 corse ad arruolarsi spedendo la famiglia in Europa, dice che molti dei più rispettati ufficiali sono stati rimossi. Il generale Valery Zaluzhny che salvò Kiev dall’assedio cacciando indietro i russi per mille chilometri, liberando due terzi del Paese: rimosso e poi spedito a Londra con la feluca da ambasciatore. Fino a Dmytro Kuleba, il ministro degli Esteri che sapeva tenere testa all’omologo russo Lavrov, il più astuto e abile burocrate di Putin: dimissionato anche lui, e da qualche tempo parsimonioso di parole persino sui social network. La guerra diventa routine. Ma quando gli uomini al fronte cominciano a dubitare di chi comanda, di solito iniziano i guai per gli eserciti che hanno bisogno di motivazione e compattezza. «Allora - ragiona il soldato mentre spolvera il radiocomando del drone più grosso - noi per cosa stiamo combattendo? Per il Donbass che a queste condizioni militarmente non riusciremo mai a riprendere per intero? O per la Crimea che ci vorrebbero un milione di uomini per invaderla? Mi sono arruolato per l’Ucraina non per dei leader». © riproduzione riservata