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Reportage. Tra i soldati ucraini dove cova la delusione. E Mosca vuole riprendere Kursk

Nello Scavo, inviato a Bilozerka sabato 12 ottobre 2024

Uno degli edifici colpiti dall’artiglieria russa. BIlozerka, nel sud dell’Ucraina

«La differenza tra soldato e sicario è che il soldato uccide per qualcosa, il sicario per qualcuno». Nella mattinata di pioggia e violente folate, il ricognitore Vlad si esercita da polemista mentre aggancia al piccolo drone una di quelle bombe con cui fa strage di russi: «L’ordine è di tenere le posizioni: ma ce lo chiede l’Ucraina oppure Zelensky?».

Sulla strada per Bilozerka il grande fiume smette di irrigare i vasti campi rimasti incolti per colpa della guerra, e si getta tra l’Ucraina meridionale e le vicine coste della Crimea. La squadriglia di dronisti aspetta che sulle sponde del Dnepr cessi il vento per tentare qualche incursione dall’alto sulla spiaggia di Kinburn, il primo lembo di Crimea dove i russi hanno le postazioni da cui cannoneggiano i villaggi ucraini sul litorale.

Il soldato Vlad non si fa illusioni. «Se anche tutto il mondo ci regalasse le armi che chiede il nostro presidente, non avremmo abbastanza uomini per usarle. Sembra di essere tornati ai tempi di Bakhmut, quando c’erano dieci russi per ognuno di noi», dice togliendosi però anche un sassolino: «Potreste far sapere al vostro governo che dall’Italia sono arrivate casse di proiettili arrugginiti?». Il generale Oleksandr Syrsky, comandante in capo delle forze armate ucraine, indirettamente conferma le voci che arrivano dalla truppa. «Sappiamo che circa 50.000 soldati russi provenienti da altri settori sono stati trasferiti nella direzione di Kursk». E’ la regione russa parzialmente occupata dalle forze ucraine e che Putin potrebbe tentare di riconquistare per lavare l’onta dell’umiliante incursione ucraina, al prezzo di un ennesimo bagno di sangue innanzitutto tra i suoi. «Oppure è una trappola, per farci spostare al Nord e scoprire il fianco quaggiù», dice “Malinky”, fuciliere basso e nervoso a cui hanno dato il nome con cui indicano le bottigliette di vodka, che il ragazzo nasconde nella cartucciera. Prima di mandarne giù una senza neanche offrire un sorso ai compagni, “Malinky” legge i successi di giornata così come sono stati comunicati via Telegram. Secondo l’aeronautica ucraina, la Russia ha lanciato missili dalla regione di Belgorod, ma non ha specificato quanti e di che tipo, oltre a 28 droni, 24 dei quali distrutti prima che piombassero su Sumi, Poltava, Dnipro, Mykolaiv e Kherson, a pochi chilometri da qui. Lo Stato maggiore ucraino rivendica anche un bombardamento notturno contro un deposito di carburante a Rovenki, nella regione di Lugansk occupata dalle truppe russe. Per la verità, anche il ministero della Difesa russo a sua volta fa vanto di aver neutralizzato nottetempo 47 droni ucraini, 17 dei quali nella regione di Krasnodar, 16 nel Mar d’Azov e 12 ancora nell’area di Kursk. Notizia che in realtà conferma quanto ormai Kiev sia in grado di penetrare lo spazio aereo russo.

A Bilozerka anche ieri due capanni sono stati distrutti dall’artiglieria russa, che dista meno di 3 chilometri dall’altra parte del fiume. Nel giugno di un anno fa l’intero abitato venne travolto dall’inondazione provocata dalla distruzione della diga di Kakhovka. Di gente ne continua a morire ogni settimana, come accadde a padre Mykola Palyahniuk, ucciso nei giorni dell’inondazione mentre distribuiva aiuti agli sfollati.

La buona notizia è che oggi piove e tira un vento che a terra supera i 30 chilometri orari, e in quota è del quadruplo. «Quando è così, i droni iraniano non possono volare, e neanche i miei quadricotteri», sospira Vlad: «Stamattina non uccidiamo nessuno». I giubbetti antiproiettile restano però allacciati, perché le intemperie non fermano gli artiglieri.

Da Kiev alla Crimea il fiume percorre i sentieri di guerra attraverso la centrale atomica di Zaporizhia e il dedalo di canali che a Kherson tengono i russi al di là dell’argine, ma troppo vicino al centro città. Ieri i cannoni di Mosca hanno demolito un intero edificio in pieno centro, fortunatamente disabitato. Quando i vigili del fuoco hanno tentato di fermare la propagazione del rogo, cecchini e granatieri hanno ripreso il tiro a segno impedendo ai soccorritori di intervenire, fino a quando il fuoco di copertura ucraino non è riuscito a tappare per qualche ora le bocche da piombo dei moscoviti.

Vigili del fuoco sotto i colpi dell’artiglieria anche durante i soccorsi dopo i raid a Kherson - Governatorato di Kherson

«Era questa la differenza tra noi e loro. I russi uccidono per Putin, noi per difendere la nostra gente», bisbiglia Vlad, come se volesse tenere per sé il tarlo della sfiducia. Dice che questa «era» la differenza, perché adesso «noi per cosa e per chi stiamo combattendo?». Delle volte la distanza tra Kiev e la prima linea sembra allargarsi. Il soldato che nel 2022 corse ad arruolarsi spedendo la famiglia in Europa, dice che molti dei più rispettati ufficiali sono stati rimossi. Il generale Valery Zaluzhny che salvò Kiev dall’assedio cacciando indietro i russi per mille chilometri, liberando due terzi del Paese: rimosso e poi spedito a Londra con la feluca da ambasciatore. Fino a Dmytro Kuleba, il ministro degli Esteri che sapeva tenere testa all’omologo russo Lavrov, il più astuto e abile burocrate di Putin: dimissionato anche lui, e da qualche tempo parsimonioso di parole persino sui social network.

La guerra diventa routine. Ma quando gli uomini al fronte cominciano a dubitare di chi comanda, di solito iniziano i guai per gli eserciti che hanno bisogno di motivazione e compattezza. «Allora - ragiona il soldato mentre spolvera il radiocomando del drone più grosso - noi per cosa stiamo combattendo? Per il Donbass che a queste condizioni militarmente non riusciremo mai a riprendere per intero? O per la Crimea che ci vorrebbero un milione di uomini per invaderla? Mi sono arruolato per l’Ucraina non per dei leader».

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