Reportage. May vota e annuncia: dimissioni il 7 giugno. L'ultima sfida al partito
La premier britannica Theresa May annuncia le dimissioni in un discorso davanti al 10 di Downing Street (Ansa)
«Mi dimetterò come leader del Partito conservatore il 7 giugno» ha annunciato con un discorso di fronte a Downing street la premier britannica Theresa May. In lacrime ha concluso: «Ho servito il Paese che amo», prima di girarsi e rientrare attraverso il portoncino al numero 10. May resterà come premier fino a quando non sarà stato scelto il suo successore, cui toccherà trovare consenso in Parlamento per l'attuazione di Brexit.
Prima dell'addio: May vota e innalza le barricate
In questo incanto verdazzurro che è la valle del Tamigi, i velenosi sussurri di Westminster arrivano come attutiti, depotenziati. Se c’è un posto in cui Theresa May può dire di sentirsi protetta, è questo scorcio di Inghilterra rurale, così britannicamente privilegiata e genuinamente semplice allo stesso tempo. È qui, a Sonning, che la premier ha votato ieri per le elezioni europee. Quel voto che secondo i nemici interni del suo stesso partito conservatore dovrebbe segnare l’ultimo suo passaggio a Downing Street prima delle dimissioni che potrebbero arrivare anche oggi. Ma lei, data per morta politicamente mille volte nei tre anni che hanno segnato la sua leadership dal referendum sulla Brexit, per ora è ancora lì. «Almeno fino alla visita di Donald Trump della prossima settimana », assicurano fonti vicine alla premier.
Ma è tutto da vedere. Per arrivare al buen retiro di Theresa bisogna indirizzarsi in treno verso Reading, mezzora a ovest di Londra. Da qui, il bus 850 in direzione High Wycombe: la fermata di Sonning arriva dopo 20 minuti sulla provinciale. Ville milionarie, prati curati al millimetro, automobili di lusso: a Sonning si respira ricchezza a ogni passo. Qui, 1.600 gli abitanti, hanno comprato casa anche George Clooney e l’ex chitarrista dei Led Zeppelin Jimmy Page. La premier abita in Mustard Lane. Il collegio di Maidenhead, a cui Sonning fa capo, la elegge in Parlamento da oltre due decenni. «È una brava persona, qui è molto amata – assicura Paul, pensionato, facendo l’elenco di quanto ottenuto negli anni dalla premier per la sua zona –. Quasi ogni domenica viene a Messa qui a St. Andrew, un gioiello».
Ma la Brexit? Non ha commesso qualche errore? «Sì, certamente. Quello principale è di non aver saputo negoziare, purtroppo», ammette Claire. Che poi aggiunge: «Noi conservatori non siamo contro l’Italia o la Francia. Ma contro questa idea di Stati Uniti d’Europa che vorrebbero condizionarci su tutto, anche su quali lampadine usare ». Nel voto europeo di ieri, i conservatori rischiano di finire quinti. Per i sondaggi farà male anche il Labour di Jeremy Corbyn, mentre Nigel Farage e il suo Brexit Party dovrebbero sfondare, seguiti dagli europeisti lib-dem, altra sorpresa. Ma i risultati saranno noti solo domenica. May, nel frattempo, rischia di saltare già oggi, dopo l’incontro con il capo del comitato 1922 che presiede il partito conservatore, Graham Brady. «Se non darà una data per le dimissioni, sarà forzata a lasciare, anche cambiando le regole del partito », assicuravano ieri fonti conservatrici vicine ai “congiurati”.
Per prendere tempo, May ha rifiutato ieri di vedere almeno una dozzina di suoi ministri e ha effettuato un mini-rimpasto, sostituendo la dimissionaria Andrea Leadson con Mel Stride. Ma il cedimento più pesante della premier, quello che segnala il suo isolamento, è stata la sospensione del voto parlamentare sull’accordo di recesso con l’Ue, che era previsto per la prossima settimana e ora chissà. Intanto qui a Sonning, al Coppa club di Thames Street, bistrot all’aperto sulle acque placida del Tamigi, c’è chi sottolinea la sua incredibile resistenza. Però il Paese è paralizzato – facciamo notare –, l’incertezza sulla Brexit ha appesantito l’economia. «Sì, è vero – concorda Peter –, ma se la siderurgia soffre, come a Sculthorpe, dove sono a rischio migliaia di posti di lavoro, non è colpa sua: è colpa di chi ha gestito male quelle aziende, mentre a livello politico nessuno è venuto incontro alle richieste di Theresa – la chiama così, come tutti qui – di trovare un terreno comune di dialogo». Nel frattempo al seggio di Beech Lodge, sede degli scout locali affianco al club di cricket, l’affluenza non è certo da record. «Is it over, prime minister?», si riscalda irriverentemente ironica Carla Gray della Bbc. May, tailleur pantalone azzurro-blu su sneaker leopardata, suo vezzo, arriva puntuale alle 4 del pomeriggio con il marito Philip. Si avvicina, lei che ha dolorosamente raccontato di non aver potuto avere figli, ai bambini che si godono il parco giochi: «Spero abbiate avuto una buona giornata». «Anche lei», risponde rapido un alunno delle elementari. Poi entra nel seggio, vota.
«E allora – tocca alzare la voce in mezzo alla tonnara dei fotografi, sporcando per un attimo la quiete di questo delizioso villaggio nel Berkshire – è davvero finita primo ministro? ». La premier sorride, enigmatica quanto una sfinge, ma di un sorriso amaro. Poi ci lascia nel dubbio, sale in auto e corre, finalmente, a casa.