Sembrava finalmente essere una giornata decisiva, quella di ieri, per vedere l’epilogo della tragedia thailandese che ha già fatto, secondo le autorità, 34 morti e 271 feriti. Invece in una Bangkok ricoperta dal fumo acre dei copertoni bruciati e degli incendi, sorvolata dagli elicotteri e frastornata dal crepitio di armi ed esplosivi, è stata una giornata di straordinaria violenza.Domenica, il premier Abhisit Vejjajiva aveva risposto a breve giro di posta al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon rifiutando ogni mediazione internazionale. Ieri un altro invito, quello dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Navi Pillay, che ha chiesto alle parti «di mettere da parte orgoglio e strategie» e di negoziare una fine delle violenze». Ieri in serata un messaggio di Thaksin Shinawatra, l’ex premier in esilio che è ancora riferimento per molte Camicie rosse, ha sollecitato i suoi simpatizzanti ad aderire a ogni possibilità di dialogo che eviti lo scontro finale. Ma di fatto si resta in una situazione di stallo.L’ultimatum che il governo aveva lanciato ai leader delle Camicie rosse per l’evacuazione dell’area occupata entro le 15 di pomeriggio, è stato sostanzialmente ignorato. Poche centinaia le donne e i bambini che sono usciti per rifugiarsi nel vicino tempio buddhista Wat Prathum Waranam, che ha garantito della loro sicurezza. In maggioranza sono rimasti a fianco di almeno 4.000 uomini determinati a non andarsene senza «risultati e garanzie precise». Di fatto si registra quindi una tregua armata di fatto, con un’ulteriore proroga di qualche ora dell’attacco e un colloquio telefonico tra uno dei leader “rossi” e il mediatore governativo che non ha però portato a risultati concreti. Ad acuire la tensione anche la minaccia delle Camicie rosse, dalle loro basi dell’Est e del Nord del Paese, di essere pronti a occupare tutte le sedi delle autorità in caso di successo della repressione nella capitale. Una minaccia non nuova che però costringe esercito e polizia a non mobilitare tutti gli effettivi necessari verso Bangkok. Inoltre, in particolare sulla grande strada Rama IV – che collega l’area depressa come Klong Toey con le imponenti barricate di Sala Daeng e il presidio principale dei manifestanti – le Camicie rosse sono all’offensiva. Il loro intento è di portare soccorso appena possibile al presidio centrale: li separa dalle barricate un breve tratto di strada, ma sono centinaia i soldati schierati nel parco di Lumpini. Si è anche temuta un’esplosione disastrosa, quando un’autocisterna – sequestrata e posta sulla Rama IV tra la postazione dei dimostranti e quella dell’esercito – ha preso fuoco: per fortuna non è esplosa. Con l’arrivo del buio sono cominciate a rincorrersi le voci di un incendio all’immenso monolito della Lumpini Tower, da dove i cecchini anche ieri hanno continuato a tirare sui manifestanti. Con una strategia che mira a creare altri presidi autonomi nella città, i manifestanti organizzati dal Fronte unito per la democrazia contro la dittatura (Udd) hanno così impegnato duramente l’esercito nelle aree del Monumento alla Vittoria, Din Daeng, Klong Toey e contrastato metro per metro l’avanzata delle truppe lungo la Ratchaprarop: la via di fronte a uno degli ingressi del campo principale. Mentre infuriavano gli scontri, nel pomeriggio si è tenuta la lavanda simbolica del corpo – avvio dei riti funebri – del generale Khattiya Sawadispol, leader dell’ala dura delle Camicie rosse, colpito da un cecchino la notte di giovedì scorso e morto in mattinata. Ricordato tra le lacrime sul palco della protesta, i suoi sostenitori hanno sfogato la rabbia sulle offerte floreali arrivate delle Forze armate e della tv governativa. A confermare la pericolosità della situazione, anche il ferimento nel pomeriggio di domenica, del fotoreporter romano Flavio Signore, che dovrebbe però essere dimesso dall’ospedale entro un paio di giorni. «Mi sentivo al sicuro fino a un istante prima, poi tutto è degenerato molto velocemente», ha raccontato Signore, che ha ricordato come la Camicie rosse siano state «molto premurose» nei suoi confronti soccorrendolo immediatamente.