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Ucraina. Tensione ai confini del conflitto: ora Moldavia e Bielorussia rischiano di più

Nello Scavo, inviato a Chisinau venerdì 17 febbraio 2023

Il centro devastato di Bakhmut, la città dell'oblast del Denetsk in cui russi e ucraini combattono ormai da due mesi

Quella in Ucraina è sempre più una guerra su confini pronti a esplodere. A Nord, c’è Minsk che «a certe condizioni» si dice pronta a inviare sue truppe contro Kiev. A Sud, la Moldavia che teme un imminente golpe filo-russo per stringere a tenaglia Odessa e piazzare gli «omini verdi» di Mosca in faccia alla Romania, frontiera dell’Ue e della Nato.

«Sono pronto a combattere insieme ai russi dal territorio della Bielorussia in un solo caso: se anche un solo soldato ucraino venisse sul nostro territorio con un’arma per uccidere il mio popolo». Le parole del presidente bielorusso Lukashenko, alla vigilia del viaggio a Mosca, in programma oggi, dove incontrerà Putin, non sono un semplice avvertimento.

Frasi che sconfessano il seguito del discorso, quando il despota si propone come mediatore tra Biden e Putin per «un colloquio serio», se gli Usa «vogliono la pace in Ucraina». Poi, sprezzante: «Possiamo vederci noi tre, due aggressori e un presidente pacifista», tuttavia ritenendo «improbabile» che Biden possa accogliere l’invito.

In una giornata segnata da una nuova raffica di bombardamenti contro strutture energetiche e strategiche (36 missili sparati e circa la metà intercettati) è tornato ad accendersi di preoccupazione anche l’altro confine, quello della Moldavia, dove ieri una pattuglia della polizia ha trovato i detriti di un razzo nel villaggio di Larga, sulla frontiera con l’Ucraina. È almeno il quarto ritrovamento da novembre. La notizia è giunta mentre il Parlamento si apprestava a votare la fiducia al nuovo primo ministro Dorin Recean, che ha ottenuto il favore di 62 voti su 101 con un programma improntato al rilancio dell’economia e a una più rapida adesione all’Ue.

Recean è stato incaricato dopo le dimissioni del precedente esecutivo, sollecitato a lasciare la guida del Paese in seguito alle denunce della presidente Maia Sandu, che ha parlato di un tentativo di golpe orchestrato dalla Russia. Per questa ragione è stato vietato ai tifosi serbi del Partizan Belgrado di assistere a una partita di calcio disputata ieri a Tiraspol, in quella Transnistria che Chisinau considera territorio proprio, nonostante l’enclave filorussa si sia autoproclamata indipendente.

Come ai tempi dell’Unione Sovietica, che da queste parti conta ancora parecchi nostalgici, il binomio sport & politica avrebbe potuto fare da innesco. Il “cavallo di Troia” avrebbe dovuto essere la partita tra il Partizan Belgrado e lo Sheriff, la formazione di Tiraspol che prende il nome dalla holding fondata nel 1993 da due agenti del Kgb russo e che oggi opera in quasi tutti i settori di mercato e conta suoi emissari nei centri del potere transnistriano. Diverse migliaia di ultras serbi avevano acquistato il biglietto, ma tra di essi – sostiene Chisinau – vi sarebbero stati alcune decine di sabotatori addestrati da Mosca e centinaia di “hoolingans” filorussi che avrebbero potuto chiedere di arruolarsi con le forze della Transnistria. Mentre gli ultras del Partizan avrebbero dovuto mettere in subbuglio la Moldavia, altri “tifosi”, stavolta proprio a Belgrado, dovevano alimentare il panico. La polizia serba ha arrestato tre persone dopo che un gruppo di ultranazionalisti e filo-russi ha minacciato di dare vita a «più disordini» se Belgrado dovesse accettare, come proposto dall’Occidente, un piano per la normalizzazione delle relazioni con il Kosovo. Più volte durante la guerra contro l’Ucraina lo stesso Vladimir Putin ha paragonato l’annessione del Donbass al caso Pristina, che nel 2008 dichiarò l’indipendenza dalla Serbia, Paese candidato Ue, dove il sentimento filorusso è diffuso. I tre arrestati in territorio serbo sono accusati di «appello a un cambiamento violento dell’ordine costituzionale» e possesso illegale di armi. Secondo il ministero dell’Interno, stavano organizzando un raduno di massa «per rovesciare violentemente il governo» Modalità del tutto analoghe a quelle che si temono in Moldavia. A Chisinau la Chiesa cattolica prova a suggerire spazi di decompressione.

«Il nostro appello è quello di mantenere sempre un controllo della situazione e non lasciarsi coinvolgere in nulla che possa essere motivo per alimentare il conflitto o i conflitti interni», chiarisce monsignor Cesare Lo Deserto, vicario generale nella capitale.

Fino ad ora la Russia, che ha una sua “forza di pace” a Tiraspol, non ha riconosciuto l’indipendenza della Transnistria, ma nelle prossime settimane le cose potrebbero peggiorare. A Tiraspol i russi sono attesi – spiega Lo Deserto – ma la Moldavia non so come valuterebbe un eventuale annessione della Transnistria alla Russia, così come è avvenuto con l’annessione di regioni dell’Ucraina». La popolazione si comporta come sempre, tra fatalismo e attesa.

«Come ti farai il letto, così dormirai», dice un vecchio proverbio che ancora oggi si ascolta tra le chiacchiere al mercato dei fiori, molti rimasti invenduti nel giorno di San Valentino. Le temperature sottozero coprono i petali di una brina luccicante e intanto scaldano il dibattito politico. Qualcuno al golpe ci crede davvero. Tra le campagne, dove le luci sono basse e si sopperisce all’aumento delle bollette di elettricità e gas spaccando legna da ardere, c’è chi spera nel ritorno tra le braccia della “Madre Russia”, anche solo per far abbassare i prezzi dato che il Paese dipende da Mosca.

Nella capitale illuminata a giorno, il piazzale dello sproporzionato palazzo del Parlamento ospita come ogni anno il mercato e le giostre di carnevale. «Ci svegliano al mattino con la minaccia di un colpo di stato, ma la sera possiamo divertirci al luna park mentre i parlamentari ci osservano dalle finestre», commenta con amaro sarcasmo Valeriu, studente di informatica e commesso in un vicino negozio di elettronica. La guerra qui è più vicina di quanto non sembri. Il confine ucraino è a 100 chilometri, la Transnistria a 20. E basta questo per sentirsi in pericolo. Sia che si tratti di un missile volutamente sparato fuori traiettoria, o di una partita di calcio dove le tifoserie fanno il tifo per lo stesso zar.