Elezioni Usa. In Tennessee i poveri votano Trump per protestare contro gli altri ricchi
A Nashville, Memphis, Jackson, la working class fa fatica ad arrivare a fine mese Ma in tanti preferiscono il repubblicano, convinti che farà i loro interessi, smarcandosi dalle costose guerre dei democratici Inviato a Memphis ( Tennessee) ANashville, a Memphis, o nelle cittadine più piccole come Jackson, lungo la freeway che congiunge le varie località nel sud degli Stati Uniti, apparentemente non sembra esserci traccia delle elezioni per le presidenziali Usa, nonostante i sondaggi indichino già come vincitore nello Stato del Tennessee Donald Trump.
Nessun dibattito pubblico, pochi manifesti, qua e là solo dei corner allestiti in qualche locale o in musei e teatri, dove i cittadini sono richiamati al loro senso civico e al dovere di partecipare, con il voto, alla vita della comunità. Il confronto vive, in realtà, sulle televisioni, dove repubblicani e democratici si scontrano senza esclusione di colpi. Che è un po’ la caratteristica dell’America rurale di oggi, dove contraddizioni, tensioni sociali e il sogno americano di una vita migliore permettono al cittadino medio di affrontare una realtà difficile, che per la working class significa arrivare alla fine del mese. Ce la fa. Con difficoltà. Ma anche con grande dignità. E il povero che vota il ricco imprenditore, che probabilmente non farà il suo interesse, per protesta contro gli altri ricchi, qui ha un suo perché. Come per quelli che vedono in Trump un uomo che non farà tutte le costose guerre che invece in questi anni hanno condotto le Amministrazioni democratiche.
Negli Stati americani del sud, come il Tennessee o la Lousiana, nonostante la presenza massiccia della comunità nera, il partito democratico di Kamala Harris arranca. In Tennessee, appunto, batte forte il cuore di quell’America tradita nel suo sogno, come lo stesso candidato alla vice-presidenza per Trump, James David Vance, aveva raccontato nel suo libro, ormai celebre, Elegia Americana. Insomma, qui, dove tutto si muove al ritmo della musica country, del rock e del blues, le persone vedono la sfida per le presidenziali da un’angolatura decisamente diversa rispetto a quella europea. Nel Vecchio Continente l’interrogativo è un altro, ovvero se l’America abbandonerà l’Europa e l’Ucraina all’aggressività russa. Le istanze dell’americano medio sono di carattere sociale, poco gli importa del resto del mondo.
Di sicuro, non vuole diventare povero, e il tema della guerra lo spaventa. Al Sud, in molti hanno un militare in famiglia, che ha combattuto, che è morto o che non riesce a reinserirsi nella società. O che magari è diventato un home-less, prigioniero del degrado e della droga e con un destino segnato. « Harris o Trump?»: nessuno dice chi preferisce per davvero, ma lo si capisce lo stesso. Come chi afferma che con Trump «gli Stati Uniti non andranno più in guerra per gli altri». È l’idea dell’American First: la convinzione che si può essere leader del mondo con una politica isolazionista, senza responsabilità verso gli altri, ma solo verso se stessi.
Sia a Nashville che a Memphis la musica è un business ma anche un modo con il quale l’America svela le sue radici, le sue paure e l’autenticità delle sue storie dì quotidianità, di cui molte sono di sofferenza, come appunto quelle degli homeless. «Nessuno apprezza la politica economica di Joe Biden, che ha reso i ricchi sempre più ricchi e ha impoverito tutti noi», ci dice l’addetto di uno dei bellissimi musei di Nashville. E il ceto medio americano, della povertà – che negli Stati Uniti è sotto gli occhi di tutti proprio attraverso gli emarginati e gli ultimi – ha paura. Tanto da credere a nuovi sogni, che potrebbero trasformarsi in incubi.