Dittature 2.0. Alla cosiddetta Primavera araba e ai movimenti di liberazione nati su Internet i regimi del mondo rispondono con la stessa moneta. Risultato: i controlli sulla Rete non sono mai stati così soffocanti. Succede sia negli Stati tradizionalmente autoritari sia negli stessi Paesi nordafricani teatro quest’anno di rovesciamenti di potere, dove la transizione democratica si annuncia lunga e tortuosa e il vizio della censura è duro a morire. Ancora un terzo degli utenti mondiali non riesce a navigare senza filtri. Si tratta di centinaia di milioni di persone e non soltanto per il peso enorme della Rete della Cina, dove il numero dei cittadini collegati supera quello degli abitanti degli Stati Uniti, ma i contenuti sono rigorosamente selezionati dalla "Grande muraglia elettronica". Fra i campioni del bavaglio spiccano fra gli altri Arabia Saudita e Myanmar. L’Iran progetta addirittura un proprio Internet "nazionale", che sgancerebbe di fatto la Repubblica islamica dal Web mondiale. Nel vicino Bahrein, lo scorso 22 giugno il blogger Abduljalil Al-Singace è stato condannato all’ergastolo da una corte militare. Attivista pro-democrazia e per i diritti della minoranza sciita, Singace è considerato un pioniere di Internet nel suo Paese, ma è stato messo a tacere in concomitanza con le proteste popolari che chiedono riforme al monarca assoluto al-Khalifa. Non va meglio in Egitto e in Tunisia, dove il tam tam partito sui social network ha riempito le piazze di milioni di persone: un’onda d’urto capace di sradicare pacificamente trentennali dittature. Nell’Egitto del dopo-Mubarak gli utenti della Rete organizzano ancora proteste anti-censura, per ora solo confinate al web. In Tunisia, il mese scorso si è dimesso il ministro-blogger dell’Istruzione, Slim Amamou, un dissidente scarcerato dopo la fuga di Ben Ali. L’attivista ha lasciato l’esecutivo di transizione dopo che questo ha ordinato la chiusura di quattro siti. Alcuni Paesi che appaiono invece "insospettabili" giustificano gli interventi con la «necessità di regolamentare la Rete». Al recente G20 di Internet, il primo nella storia, lo ha detto anche il presidente francese Sarkozy, sollevando un vespaio di critiche fra gli addetti ai lavori. E pochi giorni fa, il premier britannico Cameron ha minacciato di "spegnere" i social network per fermare la rivolta urbana nel Paese. La tendenza è confermata da Reporter Senza Frontiere, fra i più instancabili "cani da guardia" della libertà d’espressione. Secondo la ong internazionale basata a Parigi, in questo momento sono 10 i Paesi "nemici di Internet": Arabia Saudita, Birmania, Cina, Corea del Nord, Cuba, Iran, Uzbekistan, Siria, Turkmenistan e Vietnam. Sono in realtà Stati "recidivi", mentre escono dalla lista nera proprio Egitto e Tunisia, ma più che altro «come segnale di incoraggiamento». I due Paesi nordafricani entrano così nell’elenco dei governi "sotto osservazione". In questa lista debuttano, ma per un peggioramento della situazione, anche Venezuela, Libia, Pakistan, Kazakhstan e una democrazia matura come la Francia, dopo l’approvazione della legge sul diritto d’autore che pone di fatto limiti al Web. Fra i Paesi ancora sotto sorveglianza figura l’Australia, che sta valutando l’attuazione di un minaccioso sistema di filtraggio. Il Bahrein sta intensificando controlli e arresti. In Bielorussia le elezioni hanno inaugurato una nuova era di repressione contro i media on-line. La Corea del Sud ha inasprito la censura dei contenuti provenienti dalla Corea del Nord e mantiene un arsenale legislativo repressivo. Aumentano le pressioni negli Emirati Arabi Uniti, in Eritrea e Malesia. In Russia, secondo l’accusa di Rsf, il governo «sta cercando di plasmare la Rete, sempre più influente, per soddisfare i propri scopi». Nello Sri Lanka giornalisti on-line e dei media tradizionali sono ancora vittime di violenza, mentre in Thailandia la crisi politica dell’anno scorso ha avuto conseguenze negative per la libertà di espressione. E in Turchia migliaia di siti sono ancora bloccati e i processi nei confronti dei giornalisti on-line si susseguono senza sosta. Continuano nel mondo anche gli arresti di blogger e comuni utilizzatori della Rete. L’anno scorso si trovavano in carcere 119 cyber-dissidenti, contro i 120 del 2009. Le carceri più "capienti" si confermano quelle della Cina con 77 detenuti, seguite da quelle del Vietnam (17) e dell’Iran (11). Per la prima volta nella Repubblica Popolare sono stati imprigionati utenti di Twitter per i loro messaggi pubblicati sul social network. Uno di questi è un "certo" Liu Xiaobo, vincitore del Premio Nobel 2011 per la pace tuttora dietro le sbarre.