Londra. Tafida, il giudice con i genitori. La libertà di religione va rispettata
Tafida Raqeeb è una bimba inglese di 5 anni in stato di minima coscienza da quando, lo scorso febbraio, è stata colpita da una grave emorragia cerebrale. È ricoverata al Royal London Hospital, dove i medici hanno comunicato alla famiglia l’intenzione di spegnere il respiratore che l’aiuta a vivere perché, dicono, morire è nel suo «miglior interesse». La famiglia, però, chiede di poterla trasferire all’Ospedale Gaslini di Genova, i cui medici l'hanno visitata a Londra e si sono detti disponibili ad accoglierla per assisterla e darle le cure necessarie.
Un nuovo tassello, questa volta non di tipo medico ma religioso, si aggiunge al caso di Tafida Raqeeb, la bimba di 5 anni in stato di minima coscienza a cui il Royal London Hospital vuole sospendere i trattamenti vitali. Secondo la fondazione Barts, società pubblica che gestisce la struttura, i genitori della piccola non sono in grado di decidere, nel suo «migliore interesse», se continuare o sospendere le terapie che la mantengono in vita, in virtù del loro credo islamico.
La notizia arriva a pochi giorni dall’inizio del procedimento, in programma da lunedì al 13 settembre, che poterà i giudici dell’Alta Corte di Londra a esprimersi sulla controversa vicenda attraverso sentenza. Che dovrà concedere o meno anche il trasferimento della piccola all’ospedale Gaslini di Genova che si è offerto di assisterla.
In una imprevista udienza preliminare, ieri, la Barts ha chiesto di togliere ai genitori – mamma Shelima Begum, avvocato di 39 anni, e papà Mohammed Raqeeb, 45enne, consulente nel settore delle costruzioni – la rappresentanza legale della bambina perché musulmani. La mossa dell’ospedale è arrivata dopo aver ricevuto una fatwa, sentenza giuridico-religiosa di ispirazione islamica, dal Consiglio islamico europeo per ricordare che, per i musulmani come la famiglia Raqeeb, l’interruzione dei trattamenti vitali è «inammissibile» oltre che un «grave peccato».
Il giudice Alistair MacDonald ha però ribadito la «libertà di religione» e respinto la richiesta invitando, tuttavia, genitori e personale sanitario a «moderare i toni del confronto».