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LA GUERRA A DAMASCO. Svolta di Obama: aiuti ai ribelli siriani

Camille Eid giovedì 28 febbraio 2013
​Ora l’opposizione siriana può sperare in una vera svolta americana sul conflitto in Siria. L’apertura, oggi a Roma, della riunione internazionale degli “Amici del popolo siriano” è stata infatti preceduta da diverse importanti prese di posizioni statunitensi. Nel corso della sua tappa a Parigi, il nuovo segretario di Stato Usa John Kerry ha sottolineato la necessità di un «maggiore aiuto nelle zone liberate» all’opposizione siriana. Kerry ha anche spiegato che Washington e Parigi stanno esaminando «i mezzi per accelerare la transizione politica» nel Paese. Una questione, ha precisato, che verrà discussa durante la riunione odierna. «Sulla Siria abbiamo la stessa posizione: Bashar al-Assad deve andare via», ha detto da parte sua il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius nel corso dell’incontro con il suo omologo americano. Il piano di Washington prevede la fornitura diretta ai rappresentanti della coalizione politica che si oppone al regime di materiali ed equipaggiamento civile e militare: giubotti anti-proiettile, veicoli blindati, mezzi di comunicazione. Si prevede inoltre di organizzare corsi di addestramento per i combattenti ribelli. Niente armi però. I dettagli della nuova linea Usa sono al centro dei colloqui di Kerry con i leader europei, e sicuramente anche di quelli con Moaz al-Khatib, capo della Coalizione nazionale siriana di opposizione, che aveva in un primo momento deciso di boicottare l’appuntamento romano.Ieri il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha confermato, pur senza aggiungere dettagli, che gli americani «aumenteranno l’assistenza la popolo siriano» per raggiungere l’obiettivo di una transizione che superi il regime di Assad. Per ora non si discute di armi. Piuttosto, Kerry aveva parlato a Londra dell’intenzione di Washington di esercitare pressioni su Mosca «per portarla a cambiare i suoi calcoli politici» riguardo la Siria. Sull’attesa svolta americana hanno pesato diversi fattori, tra cui la necessità di appoggiare le formazioni “moderate” affiliate all’Esercito libero siriano (Els) non solo contro le forze lealiste, ma anche contro la crescente influenza dei gruppi salafiti vicini ad al-Qaeda. Già nei mesi scorsi il Pentagono e l’allora segretario di Stato Hillary Clinton si erano espressi in favore di un coinvolgimento più ampio al fianco degli oppositori, ma Obama si era opposto perché temeva di fare il gioco dei salafiti. Hanno pesato certamente anche i massacri di cui si è macchiato il regime di Assad contro i civili. Ieri, parlando al Global Forum per l’Alleanza delle Civiltà, riunito a Vienna, l’emiro del Qatar ha definito l’atteggiamento internazionale relativo al dramma siriano «un’onta per tutta l’umanità». «Ci sono Paesi centrali, ha spiegato lo sceicco Hamad Al Thani, che sostengono il genocidio compiuto da un regime delegittimato, e altri che condannano solo a parole».Ecco perché, a Roma, gli Usa potranno contare, nel loro nuovo approccio alla crisi, non solo sul sostegno di molti Paesi arabi, ma anche di diversi Paesi europei, come la Gran Bretagna, la Francia, la Germania e l’Italia. Presente all’appuntamento romano anche il ministro degli Esteri egiziano Kamel Amr. «L’Egitto – ha detto Amr prima di lasciare ieri il Cairo – è a favore di una soluzione politica della crisi per fermare presto l’effusione di sangue e arrivare a un governo di transizione».