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NEL CUORE DELLA GUERRA SIRIANA. Susan Dabbous: «Sempre bendata hanno minacciato di tagliarmi le mani»

Susan Dabbous lunedì 15 aprile 2013
Ho pregato tutte le notti perché la situazione era molto pesante. Cosa mi ha aiutato? Ho pensato tanto a papa Francesco, alle sue parole, alla sua esortazione a non scoraggiarsi anche nei momenti di difficoltà. E a mia nonna Margherita, che dall’alto mi ha protetto.È difficile rivivere quest’esperienza. Siamo stati presi mercoledì 3 aprile da un gruppo di combattenti dentro una chiesa. Ci hanno sequestrato perché abbiamo ripreso le immagini della distruzione e della profanazione. Temevano che gliele avremmo attribuite. Ovviamente non era questa la nostra intenzione: non sappiamo chi abbia profanato la chiesa. Mi hanno tenuto in isolamento, coperta sempre da un lungo pezzo di stoffa e un passamontagna rivoltato per impedirmi di vedere. Essendo islamici sapevo che non mi avrebbero violato, ma temevo che mi ammazzassero. Mi hanno trattato bene fisicamente, ma hanno fatto pressioni psicologiche. Minacciandomi fino ieri di tagliarmi le mani, perché credevano avrei scritto un reportage su di loro. Vedendo il mio passaporto e i timbri libanesi erano convinti fossi una spia. Ho chiesto di poter pregare e mi hanno portato da una donna, la moglie di un combattente. Ho passato qualche giorno con lei, era dolce e premurosa. Abbiamo cucinato insieme ci siamo fatte forza durante i bombardamenti notturni. Sapevo che lei non mi avrebbe potuto aiutare a liberarmi. Ho pensato però che se avessi dovuto passare tanti mesi sequestrata avrei preferito stare con lei piuttosto che nella casa dove ci avevano tenuto sotto costante controllo. Devo confessare che ho avuto tanta paura. La preghiera mi ha aiutato a ricordare che dietro ai loro volti coperti c’erano dei ragazzi, degli uomini, con un cuore, con madri, mogli e sorelle. Sapevo che l’unico modo per sopravvivere era vederli come essere umani e non come mostri.