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La ricerca. «Sulla democrazia dell'Occidente incombe l'ombra autoritarismo»

Giovanni Maria Del Re martedì 9 ottobre 2018

Attenti, la democrazia in Occidente è in pericolo, si affermano tendenze autoritarie e sempre più persone si sentono meno legate dai grandi valori della democrazia liberale. È un grido di allarme quello che lancia l’ultimo rapporto sugli indicatori di sostenibilità di governance che oggi pubblica la Fondazione Bertelsmann, e che Avvenire può pubblicare in esclusiva.

«L’edizione attuale – si legge – mostra tendenze molto preoccupanti all’interno dell’Ocse e dell’Ue». Soprattutto, «molte nazioni industriali occidentali si allineano nella tendenza verso un calo a livello mondiale della qualità della democrazia». In particolare, su 41 Paesi Ocse, in ben 26 si registra un peggioramento dell’indice riferito alla qualità della democrazia rispetto al rapporto di quattro anni fa, di cui 19 in modo significativo. Solo in 14 c’è un miglioramento, tra cui l’Italia (ma il rapporto è riferito al periodo novembre 2016-novembre 2017), che passa dal 30° al 22° posto (per i dettagli vedi l’articolo specifico).

«Gli ultimi sviluppi – avverte il rapporto – mostrano che anche tra i Paesi Ocse e Ue l’immagine guida della democrazia liberale è sotto pressione. In alcuni Paesi in modo così forte che standard centrali democratici e di Stato di diritto, come la libertà dei media, è già fortemente danneggiata e svuotata». Gli sviluppi più negativi si registrano in Ungheria (40° posto), Polonia (37° posto, con un crollo di 29 posti rispetto al 2014), Messico (39°), Turchia (41°) e, fatto clamoroso, anche negli Stati Uniti, considerati il cuore della democrazia occidentale, crollati di 9 punti dal 2014 per assestarsi al 18° posto. «Un presidente – avverte il rapporto – che definisce i media come nemici e non riconosce il loro ruolo di controllo è un cla- moroso tentativo di minare la libertà di espressione e costituisce un pericolo per la democrazia e la libertà».

Quanto all’Ungheria e alla Turchia, il rapporto afferma senza mezzi termini che «non si può ormai più parlare di democrazie consolidate », un chiaro riferimento ai regimi sempre più autoritari del premier Viktor Orbán e del presidente Recep Tayyip Erdogan. Anche la Polonia governata dagli ultra-nazionalisti si registra «un massiccio crollo di qualità di democrazia». Ai primi posti invece figurano i Paesi nordici, la Germania e la Svizzera. Il rapporto parla di una «crescente polarizzazione dei partiti politici nel Paesi Ocse e Ue».

Una polarizzazione che «rende difficile governare mentre cala la capacità di effettuare riforme». Questo perché «in sistemi polarizzati è difficile creare consensi su soluzioni politiche che coinvolgano vaste parti della società». E «soprattutto i partiti populisti puntano a sabotare soluzioni politiche adeguate attraverso una campagna condotta sistematicamente in modo emotivo». Tanto che «i partiti si trovano spesso in una sorta di campagna permanente che ostacola compromessi bipartisan su questioni concrete».

Questo è accompagnato dal fatto che «molti governi si mostrano meno inclusivi della società civile e, in un quadro di una campagna permanente, hanno gravi problemi a comunicare i propri progetti politici in modo coerente ». Ed è dunque «piuttosto improbabile che la polarizzazione dei partiti si possa a breve ridurre in modo sostanziale». Non basta: secondo il rapporto «è profondamente preoccupante il fatto che in Paesi con un calo della qualità della democrazia e del governo, non cali automaticamente la fiducia dei cittadini nel governo. Al contrario: in Paesi come Polonia, Ungheria, Turchia, si registra un aumento della fiducia nei rispettivi governi».

Al tempo stesso, a fronte dei sostenitori del governo, si contrappone «un’altra parte della società che si trova in forte opposizione ». Questo «indica da un lato una notevole spaccatura sociale-ideologica all’interno dei Paesi, dall’altro che in notevoli parti della società evidentemente non sono più sufficientemente ancorati i valori fondamentali della democrazia». Tutto questo, avverte la Fondazione Bertelsmann, ha anche implicazioni per il futuro dei Paesi. In un simile quadro di tensioni e polarizzazioni, «in molti Paesi è divenuta più difficile l’attuazione di soluzioni politiche a lungo termine».

Così in molti di questi Stati non si registra un miglioramento della sostenibilità sociale, non si affrontano problemi come l’invecchiamento della società, permane il peso dei debiti pubblici soprattutto nel Sud Europa. Con un impatto anche sulla sostenibilità ambientale, con il clamoroso caso degli Stati Uniti, dove si è verificato con Donald Trump un completo ribaltamento delle politiche in materia. Più in generale, secondo il rapporto «i Paesi con una migliore qualità di governance e di democrazia ottengono risultati migliori in termini di politiche per una sostenibilità a lungo termine ». Come dire: democrazia e buon governo pagano anche in termini economici.