Era stata una «grossa gang di soldati del Lord’s Resistance Army», quel giorno di metà agosto, ad attaccare la chiesa di Nostra Signora della Pace nella città di Ezo, nella diocesi di Tombura-Yambio, in Sud Sudan. La banda di uomini armati rapì 17 persone, per lo più giovani e adolescenti. Pochi giorni dopo venne trovato morto uno dei sequestrati, il cadavere mutilato e appeso ad un albero. Del gruppo di rapiti, tre tornarono sani e salvi alle loro case: altri 13, dunque, restavano nelle mani dei sanguinari ribelli che dal vicino Uganda sconfinano spesso nel Sudan meridionale. Poi, una settimana dopo, nella vicina città di Nzara, la drammatica scoperta: sei dei rapiti erano stati uccisi dopo essere stati crocifissi su assi di legno piantate nel terreno. A raccontarlo – come riferito già il 6 ottobre, per primo in Italia, da “Avvenire” – era stato il vescovo di Tombura-Yambio, monsignor Eduardo Hiiboro Kussala in un’intervista all’organismo ecclesiale “Aiuto alla Chiesa che Soffre”. Nel contempo il vescovo Kussala lanciava un appello alla comunità internazionale perché si affronti il nodo delle violenze dell’Lra – sconfinato dal Congo–, sempre più invasive in Sud Sudan: «Nessuno ci viene in aiuto. Chiediamo a quanti sono responsabili all’interno della comunità internazionale di fare qualcosa per noi».