«Asia Bibi è innocente. Tanti islamici, però, non lo sanno. Dobbiamo trovare il modo di convincerli che questa è l’unica verità. Per lei e per le “troppe Asia” accusate ingiustamente, rinchiuse in prigione o emarginate perché appartenenti a una minoranza religiosa». Sono trascorsi 1.856 giorni da quando la mamma cristiana è stata rinchiusa in una cella con la falsa accusa di blasfemia. Ben 1.341 dalla condanna a morte inferta alla donna dal tribunale del distretto di Nankhana Sahib. La difesa ha presentato l’appello all’Alta corte di Lahore oltre tre anni e mezzo fa. Il processo, però, non è mai cominciato: il suo inizio continua ad essere rinviato udienza dopo udienza. L’ultima volta è stata il 27 maggio. Paul Bhatti, politico cattolico pachistano, ex ministro per l’Armonia religiosa, da sempre impegnato per i diritti delle minoranze, però, non perde la speranza. «La strategia del dialogo – afferma – può salvare Asia». Che non è solo una donna innocente ma il simbolo di una libertà di coscienza negata a chi professa una fede altra rispetto alla maggioranza.
Che cosa intende per strategia del dialogo?Applicare un metodo simile a quello impiegato nel caso di Rimsha Masih, la piccola disabile cristiana condannata a morte per aver offeso il Corano. Gli avvocati della ragazzina hanno messo la corte di fronte all’assurdità dell’accusa, dimostrando l’inconfutabile innocenza di Rimsha. Asia ha necessità di un collegio di difensori che faccia altrettanto. Questo è il primo livello, di tipo giudiziario. Al contempo, è necessario agire sull’altra dimensione, quella dell’opinione pubblica.
In che modo volete agire concretamente?È fondamentale dialogare con gli islamici, per far comprendere loro che Asia non ha mai voluto offendere Maometto. E che i cristiani non rappresentano una minaccia per la religione musulmana. Tutt’altro. La propaganda di poche componenti estremiste ha indotto tante persone semplici, in assoluta buona fede, a credere che Asia Bibi abbia intenzionalmente insultato il Corano. E che i cristiani vogliano distruggere l’islam. Dobbiamo parlare con loro, spiegando che la verità è tutt’altra. Il dialogo interreligioso è l’unico antidoto contro la violenza.
Crede che l’opinione pubblica musulmana sia disposta a dialogare?La gente non è estremista. Ci sono tantissimi musulmani moderati. Molti di loro, come Salman Taseer o l’avvocato Rejman, hanno sacrificato la loro vita per difendere le vittime della blasfemia. È necessario mostrare loro come davvero stanno le cose. Per questo, penso che potrebbe essere molto utile se i leader religiosi islamici – più o meno moderati – incontrassero Asia Bibi.
Un faccia a faccia tra Asia e i suoi accusatori?Tra Asia e chi la crede colpevole. Si potrebbe organizzare un incontro nella stessa prigione di Multan, dove è rinchiusa. Così si renderebbero conto che si tratta di una donna semplice, umile, rispettosa. Mai avrebbe deliberatamente insultato l’islam. Questo sarebbe solo un primo passo di un dialogo che deve diventare continuo e costante. Si potrebbero organizzare colloqui periodici tra leader religiosi islamici e di altre confessioni. In Pakistan, certo. Ma anche all’estero. Dove le differenti componenti religiose della società pachistana si confrontino in modo libero, sereno e rispettoso. È l’unica via per disinnescare la violenze. Il muro contro muro non porta a niente. Per noi cristiani, poi, è inaccettabile: è il contrario di quello che comanda la nostra religione. Chi si professa seguace di Cristo deve essere il primo artefice del dialogo.