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Medio Oriente. A che punto è la tregua (che potrebbe arrivare martedì)

Lucia Capuzzi venerdì 2 febbraio 2024

Ciò che resta del campo profughi di al-Nuseirat nella Striscia di Gaza: ieri Hamas ha aggiornato a 27.019 il numero dei palestinesi uccisi dal 7 ottobre scorso

All’alba di ieri, 114 detenuti palestinesi – 110 uomini e quattro donne – hanno lasciato le carceri israeliane all’alba e subito hanno attraversato il valico di Kerem Shalom per entrare a Gaza. Il governo di Benjamin Netanyahu non lo ha detto in modo esplicito ma i movimenti dietro le quinte sembrano preannunciare un nuovo accordo di tregua con Hamas che potrebbe arrivare entro martedì. Il secondo dopo quello di appena una settimana a novembre. Una delegazione del movimento islamista, guidato dal leader Ismail Haniyeh, si è recata al Cairo per negoziare la proposta elaborata dai mediatori egiziani e qatarini. Secondo i media è improbabile che i miliziani la respingano. Chiedono, però, in cambio della liberazione dei 136 ostaggi ancora nelle proprie mani, garanzie di un ritiro «duraturo» di Gerusalemme dalla Striscia. È questo il nodo più spinoso delle trattative. La prosecuzione a oltranza del conflitto – «fino all’eliminazione completa di Hamas», ha ripetuto – è una «linea rossa» per il premier Benjamin Netanyahu. «Non siamo disposti a un patto ad ogni costo», ha ribadito.

Un’intransigenza non proprio disinteressata, sostiene il quotidiano israeliano Haaretz per cui Netanyahu starebbe cercando di boicottare il negoziato per prolungare il più a lungo possibile la propria permanenza al vertice. Insieme alla guerra, terminerà anche la “tregua” concessa dagli israeliani al capo dell’esecutivo, i cui consensi sono al minimo storico. Già screditato prima dello sforzo bellico e con varie cause pendenti per corruzione, il premier è considerato responsabile del massacro del 7 ottobre per avere sguarnito i controlli militari al confine di Gaza. Forti pressioni per il cessate il fuoco arrivano da Washington. Il presidente Joe Biden ha ribadito il proprio impegno per riportare a casa i rapiti e costruire la pace fra israeliani e palestinesi, nel presente e nel futuro. In quest’ottica – un rilancio del processo dei due Stati – rientra la decisione di sanzionare i coloni responsabili di violenze in Cisgiordania. La firma dell’ordine esecutivo che colpisce i primi quattro è un inedito assoluto che ha subito scatenato l’ira dell’esecutivo di Gerusalemme. Non solo dell’ultra-destra ma anche del premier che ha condannato le «misure estreme» degli Usa. La tensione arriva alla vigilia di un nuovo viaggio del segretario di Stato, Antony Blinken a Tel Aviv, previsto domenica ma non ancora confermato.

In attesa di raggiungere un’intesa, sul terreno gli scontri continuano, anche se meno intensi, mentre il bilancio delle vittime ha superato quota 27mila. L’epicentro dei combattimenti resta sempre Khan Yunis, dove 30mila persone sono rifugiate nelle scuole intorno all’ospedale Nasser, senz’acqua né luce. Israele sta predisponendo un piano per far entrare aiuti nella Striscia senza passare attraverso l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa ), accusata di legami con Hamas. L’ultradestra, però, si oppone all’invio di convogli: anche nei giorni scorsi ha protestato al porto di Ashdod.