L'analisi. Dove cercare i colpevoli: non sotto casa, ma nei dormitori del terrore
Il video degli assalitori
Il 7 marzo scorso l’ambasciata americana a Mosca aveva lanciato l’allarme: «Gli estremisti hanno piani imminenti per colpire grandi raduni nella capitale russa». Putin aveva respinto tutto questo come una “provocazione occidentale” a una settimana dal voto che lo ha poi visto incoronato di nuovo zar incontrastato al Cremlino.
Nel primo venerdì dopo le presidenziali russe è arrivata la sanguinosa conferma. E la rabbia del piccolo dittatore cresce perché non può che prendersela con se stesso. Il nuovo (o purtroppo il primo) bersaglio politico del nuovo Daesh, di quell’Isis frettolosamente sepolto nelle sabbie del deserto siriano, è stato proprio lui. Anche se la rivendicazione del massacro di Mosca verrà confermata (l'attribuzione è all'Isis-k afghana che ha "firmato" il video) proprio però partendo dalla Siria - li esattamente 5 anni fa cadde il Califfato in quel Paese - si può comprendere perché il ritorno in grande stile dei successori di Abubakr al-Baghdadi sia partito proprio da Damasco. Lì lo zar fa fare il bello e il cattivo tempo al suo “burattino” Assad. Lì continua a mantenere truppe e mezzi militari. Lì incalza Israele, lì fa i suoi affari di petrolio e traffici.
Si è detto più volte che il sedicente Stato islamico non era defunto e si stava solo riorganizzando. Stava cambiando pelle, stabilito nei metaforici quartieri d’inverno dopo la lunga battaglia degli anni scorsi.
Recenti rapporti di intelligence lo ricordavano, proprio alla vigilia dell’inizio dell’anno più “elettorale” da decenni a questa parte: Russia, India, Unione Europea per finire con il voto per la Casa Bianca del 5 novembre. Chi non credeva alla narrazione dell’idra domata aveva anche, in più occasioni, identificato il bacino di carenaggio del gruppo terroristico e della sua galassia, protagonista di stagioni di sangue e di atti estremi come quello degli attacchi a Parigi e al Bataclan, città dove fra tre mesi l’intelligence sarà messa di nuovo a dura prova.
La terra di rinascita è chiaramente l’Africa, più precisamente quella mezzaluna disegnata sulle ultime dune del deserto del Sahara, che parte dall’Oceano Atlantico e finisce in quello stretto all’imbocco del Mar Rosso dove gli Houthi stanno dando problemi alle rotte marittime mondiali: il Sahel.
Lì Mosca è entrata con prepotenza, fomentando golpe, fornendo truppe che un tempo si chiamavano Wagner e ora hanno solo cambiato tuta mimetica. Mali, Ciad, Burkina Faso, solo per citarne alcuni. Scalzati i francesi, Putin è tornato come novello colonialista.
Usando armi sofisticate, come vetrina di vendite future a nuovi “amici” della politica, e tanta ferocia, sulla pelle di intere popolazioni che vivono golpe senza soluzione di continuità. E forse anche lì i servizi russi in queste ore stanno scavando. In un momento di alta disattenzione mondiale anche a causa delle due concomitanti guerre in Ucraina e Palestina, si sono messi al lavoro nella notte per dare all’uomo che si sta aggirando furioso nei corridoi del Cremlino una risposta che invece forse solo lui e la sua smania di ricostruire il passato possono dare.