Guerra. I medici polacchi in Ucraina: «Ogni giorno sotto tiro per salvare vite»
Edifici bombardati nella notte in Ucraina
Il dottor Duda aveva partecipato a dei corsi per il pronto intervento in aree di crisi. Ma fare il medico mentre fuori sparano e piovono granate è un’altra cosa. Eppure non è scappato. Anche perché nei villaggi al fronte c’è andato di sua iniziativa trascinandosi un gruppo di sanitari polacchi che in Ucraina vengono omaggiati come degli eroi.
Dietro alle trincee ucraine o tra i villaggi sottoposti al fuoco incrociato non arrivano solo i medici militari, ma volontari come Duda. Soprattutto dalla Polonia, a sugellare un legame tra i due Paesi che si fa sempre più stretto per merito delle iniziative spontanee. L’organizzazione di Duda è nata dopo le prime settimane di conflitto. Raccoglie fondi e candidature per periodi di volontariato a ridosso delle prime linee. E sono centinaia i civili e i militari strappati alla morte grazie a questi dottori.
Perché al fronte si muore. A migliaia. Sia civili che militari. Le stime riservate degli Stati maggiori parlano di numeri che, quando un giorno la guerra verrà fermata, tra morti e feriti potrebbero essere a sei cifre. Ma nessuno vuole concedere adesso al nemico l’arma del proprio bilancio delle vite perdute, che sul morale delle opinioni pubbliche potrebbe pesare più di un massiccio bombardamento. In realtà in Ucraina la popolazione conosce bene il tributo di sangue. Non c’è villaggio o grande città dove quasi ogni giorno non si celebri il funerale di un soldato. I combattenti e le reclute lo sanno, e sanno che se sei russo, probabilmente nessun medico verrà mai a salvarti.
«Ci darete il kit di pronto soccorso?», chiedeva un cinquantenne della periferia siberiana costretto ad arruolarsi. Il video, girato di nascosto da un’operaia della fabbrica dove i militari erano andati a prendere i renitenti da spedire in prima linea, non ha bisogno d’essere commentato. «Fatevi prestare degli assorbenti dalle vostre mogli - rispondeva il tenente addestratore, una donna - vi serviranno per tamponare le ferite».
La certezza di essere soccorsi in ogni condizione è una delle poche rassicurazioni di chi va in battaglia. E Kiev da subito ha mobilitato una schiera di paramedici che fanno avanti e indietro dalle trincee agli ospedali. «Prima abbiamo lavorato nella sezione di Kherson, attualmente stiamo lavorando nella sezione più sanguinosa di questo fronte nel Donbass», spiega Damian Duda, fondatore del pronto intervento polacco nelle zone di combattimento. «Svolgiamo il nostro lavoro gratuitamente e a nostre spese, rischiando la vita ogni giorno senza alcun guadagno economico». Ciascuno di loro ha già uno stipendio. C’è chi ha esaurito le ferie di un anno per stare al fianco di militari e civili nelle zone di scontro. E chi è riuscito a ottenere una aspettativa senza salario. È il loro modo di combattere l’aggressione russa salvando il più alto numero di vite.
Pochi giorni fa hanno pubblicato una richiesta di fondi attraverso internet. Servivano 150mila euro per proseguire nelle operazioni. Mancano 19 giorni alla scadenza, ma hanno già raggiunto quasi l’intero ammontare. I soldi servono anche per pagare le assicurazioni. «Questo ci permetterà di essere curati per le ferite o di riportare a casa i nostri corpi se veniamo uccisi», spiegano. Occorre poi «ristrutturare i nostri veicoli di evacuazione medica e l'acquisto di nuovi», oltre a indumenti protettivi, apparecchiature di comunicazione radio per comunicazioni sicure e criptate, materiale sanitario.
Nei giorni scorsi due attivisti umanitari colpiti pochi giorni fa non lontano da Bakhmut, e ora in cura nella città polacca di Lublino. Stavano distribuendo beni essenziali ai civili che per scelta o per il fuoco di sbarramento russo non è stato possibile evacuare. Entrambi i giovani, di cui non è stata resa nota l’identità, sono stati colpiti da un colpo di granata proprio mentre consegnavano gli aiuti ai civili. «Purtroppo la volontaria ha dovuto subire l'amputazione di una parte della gamba. L'uomo ha riportato una ferita da una scheggia di granata», hanno spiegato le autorità di Varsavia.
Il loro apporto è tanto più necessario ora che il sistema sanitario ucraino è stato compromesso. Secondo i dati dell’ufficio Onu a Kiev, dall’inizio dell’invasione i battaglioni di Mosca hanno colpito più di 800 strutture sanitarie. Un altro dei crimini di guerra su cui sta indagando la corte penale internazionale, che in questi giorni ha visto tornare a Kiev il procuratore capo Karim Khan. In particolare 683 attacchi sono stati indirizzati contro gli ospedali e un centinaio hanno preso di mira le ambulanze. Almeno in 13 circostanze le forze russe hanno preso di mira alcuni depositi distruggendo forniture sanitarie e farmaci.