INTERVISTA. Samir: «È stato l'Egitto a ribellarsi perché Morsi ha fallito»
Lucia Capuzzimartedì 20 agosto 2013
«Ventidue milioni. Quasi un quarto degli egiziani, in gran parte giovani, ha firmato un documento per chiedere le dimissioni di Morsi. Come si fa a ignorare lo scontento profondo di quelli stessi cittadini che a piazza Tahrir hanno sconfitto Mubarak? Perché ci si vuole ostinare a liquidare la crisi al Cairo come un colpo di Stato militare?». Non è un oltranzista Samir Khalil. Tutt’altro. Questo gesuita egiziano ha dedicato la sua vita allo studio dell’islam e alla promozione del dialogo interreligioso. Forte della sua esperienza dichiara con convinzione: «Non c’è incompatibilità tra religione musulmana e democrazia. L’islam sa essere democratico e l’ha dimostrato per oltre un secolo – tra Otto e Novecento – proprio in Egitto». Con la stessa determinazione, però, afferma che i Fratelli musulmani non rappresentano la religione del Corano né tantomeno la «società civile» del Paese nordafricano. «Non lo dico io. Lo affermano gli imam della moschea di al-Azhar, l’istituzione- cardine del mondo musulmano sunnita – dichiara padre Samir –. “L’islam è la religione del mezzo. Le frange estremiste non sono islam”, ripetono, sconfessando i Fratelli». I Fratelli, però, hanno vinto le elezioni del giugno 2012.Certo, tuttavia dobbiamo fare alcune considerazioni. Primo, non sono stati i Fratelli a fare la rivoluzione anti-Mubarak ma i giovani di Tahrir. Gli islamisti sono rimasti cauti al principio, solo poi sono intervenuti. Ed, essendo gli unici organizzati, hanno sbaragliato le altre componenti laiche alle elezioni. Nonostante ciò, il partito di Morsi ha vinto per un soffio: ha preso il 51,3 per cento. Secondo, dalle consultazioni è trascorso un anno. Un periodo in cui il governo dei Fratelli si è rivelato un fallimento. Da ogni punto di vista, prima di tutto economico. La priorità di Morsi è stata quella di “fratellizzare” il Paese invece che di creare occupazione e migliorare le condizioni dei più svantaggiati. E l’opinione pubblica si è ribellata. Il 30 giugno in piazza contro Morsi c’erano milioni di persone: 30 dicono alcune fonti. Anche se fossero 10 o 15 non cambia la sostanza: Morsi ha perso il consenso.Che cosa intende per “fratellizzare”? Attraverso una serie di norme ad hoc, i Fratelli hanno cercato di occupare ogni spazio di potere. I loro uomini sono stati messi in posizioni- chiave. In particolare, gli islamisti si sono concentrati sull’ambito della cultura: non a caso hanno cambiato i programmi scolastici in modo da inserire elementi coranici in quasi tutte le discipline. Non solo. Il giro di vite ha colpito la tv – in cui è stato chiesto alle donne di indossare il velo –, perfino l’Opera del Cairo, accusata di portare sul palco «danze oscene». Tutto il personale è in sciopero da tempo. Questo spiega perché buona parte degli intellettuali – da Youssef Ziedan a Alaa al-Aswany, entrambi anti-Mubarak – si sono schierati con l’esercito. La repressione di quest’ultimo è stata, però, brutale. Il bagno di sangue è senza dubbio un errore. Dobbiamo, però, chiederci che cosa l’ha provocato: i sit-in a piazza Ramses paralizzavano la capitale. Le manifestazioni popolari per domandarne lo smantellamento erano quotidiane. Quale può essere, dunque, la soluzione? Nel breve periodo, il governo provvisorio deve lavorare per preparare con serietà le elezioni. Affinché queste siano realmente democratiche: i partiti devono avere il tempo di organizzarsi per poter competere. Nel lungo, si deve agire su cultura ed educazione. Fin quando nel Paese ci sarà il 40 per cento di analfabetismo, gli estremisti avranno gioco facile. Infine, bisogna incoraggiare le componenti più moderate dei Fratelli e “costringerle” ad adeguarsi alle regole della democrazia. Coi fatti, però, non con le parole.