Stati Uniti. Le deportazioni: un lusso che neanche Trump si può concedere
Migranti al confine tra Usa e Messico
In campagna elettorale, Donald Trump ha promesso che le deportazioni di massa non porteranno che benefici. «Ci libereremo dai criminali – ha detto – e i salari dei cittadini statunitensi smetteranno di scendere». Gli esperti di immigrazione mettono in dubbio queste affermazioni, e sottolineano invece che l’operazione che il presidente in pectore ha delineato presenta ostacoli, costi ed effetti negativi enormi. Logisticamente, arrestare, detenere ed espellere 11 milioni di persone è un’impresa ciclopica, impossibile da realizzare nei quattro anni di mandato di Trump, secondo Aaron Reichlin-Melnick, direttore dell’American Immigration Council, che stima che le deportazioni, nel corso del mandato, costerebbero circa 315 miliardi di dollari. Più nello specifico, ogni anno, per deportare un milione di immigrati, servirebbero 88 miliardi di dollari.
Al momento, inoltre, il governo americano non dispone di un sistema per identificare e rintracciare tutti gli stranieri presenti nel Paese senza documenti, la maggior parte dei quali vive integrata nelle comunità americane nascondendo il proprio status legale. Né gli Usa dispongono delle infrastrutture fisiche per detenere così tante persone in attesa di poterle rimpatriare. L’unico precedente nella storia degli Stati Uniti è l’internamento di giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale. All’epoca, però, a causa del conflitto, il governo americano sospese le garanzie fissate dal 14esimo emendamento della Costituzione Usa, che riconosce agli immigrati irregolari il diritto appellarsi contro un ordine di deportazione o di detenzione. Questi appelli intaserebbero il sistema giudiziario Usa, che al momento deve smaltire 3,7 milioni di casi d’immigrazione, con tempi di attesa dai due ai sei anni. Per di più, alcuni immigrati privi di documenti – i venezuelani, ad esempio – non potrebbero essere deportati, poiché gli Stati Uniti non hanno relazioni diplomatiche con i loro Paesi di origine. Questi, secondo gli esperti, finirebbero per essere rilasciati con un ordine di supervisione obbligatoria. «Ci sono alcune realtà basilari e fondamentali riguardo al sistema di allontanamento che rendono il progetto di Trump quasi infattibile», continua Reichlin-Melnick, precisando però che sarebbe possibile una «revisione radicale delle nostre leggi sull’immigrazione».
Se effettivamente l’operazione riuscisse, i ricercatori concordano che equivarrebbe a un «disastro economico» per gli Stati Uniti. La rimozione dalla forza lavoro di così tante persone comporterebbe infatti perdite di decine di miliardi di dollari in tasse federali e statali e in contributi previdenziali, oltre a 256 miliardi di dollari di potere di spesa degli immigrati stessi. In tutto, il Pil potrebbe contrarsi fino al 6,8% in quattro anni. Alcuni settori sarebbero particolarmente colpiti. Oggi, circa un quarto dei lavoratori edili sono privi di documenti – porzione che raggiunge il 50% in alcuni Stati, come il Texas.
Ma il contraccolpo dell’assenza di manodopera sarebbe sentito con forza anche nell’ambito dell’ospitalità, delle pulizie, della produzione manifatturiera e dei servizi agli anziani, secondo il Workers Defense Project. È proprio la loro utilità per l’economia americana che fornisce ad alcuni immigrati privi di documenti la speranza che la retorica di Trump non si tradurrà in azione, unita alla consapevolezza che la maggior parte dei cittadini statunitensi non vuole fare i loro lavori. “Le cucine dei ristoranti svuoterebbero, e nessuno pulirebbe più le stanze degli alberghi”, cita un rapporto del mese scorso dell’American Immigration Council.
Un assaggio di questi effetti potrebbe vedersi già il prossimo anno, se, come ha promesso, Trump metterà fine a due programmi federali per gli immigrati senza residenza permanente. Il primo è lo status di lavoratori temporanei concesso dall’Amministrazione Biden a circa 1,3 milioni di persone in attesa di asilo, il secondo è il Daca, che protegge dalla deportazione e permette di avere un impiego a circa mezzo milione di giovani arrivati negli Usa da piccolissimi. A quel punto si vedrà che cosa significa per l’economia americana perdere quasi due milioni di lavoratori nell’arco di pochi mesi.