Coronavirus. Stati Uniti, il dilemma dei medici: curare i non vaccinati?
Il coronavirus chiude i parcheggi nel New Jersey
Ormai hanno perso ogni remora. A ogni nuovo paziente con il Covid chiedono a bruciapelo: «È vaccinato? Perché no?». Dopo un anno e mezzo in prima linea, i medici americani non riescono ancora a prendere fiato. I nuovi casi di coronavirus negli Stati Uniti si sono moltiplicati sei volte nell’ultimo mese fino a una media di 80.000, un livello non visto da febbraio. In alcuni Stati, come la Florida e l’Alabama, i contagi hanno battuto ogni record dall’inizio della pandemia. Qui le terapie intensive si stanno riempiendo di trentenni, quarantenni e cinquantenni che hanno contratto la variante Delta e che sono molto malati. Spesso hanno bisogno di ossigeno, se non di essere intubati. Curarli prende tempo, energie, e una pazienza che molti dottori faticano a trovare. Perché questi pazienti hanno rifiutato ogni opportunità di farsi iniettare un vaccino che negli Usa è disponibile, gratuitamente, ovunque da almeno sette mesi.
«Sto ricoverando giovani sani con infezioni da coronavirus molto gravi – ha scritto su Facebook Brytney Cobia, del Grandview Medical Center di Birmingham, in Alabama –. Prima di essere intubati mi pregano di vaccinarli. Io tengo loro la mano e rispondo che è troppo tardi».
Cobia, come molti colleghi, si è trovata a dover inghiottire nodi di rabbia di fronte alla magnitudine di contagi che hanno invaso il suo ospedale. «Ogni volta entro nella stanza di un nuovo paziente pensando, “Okay, se l’è cercata” – dice ad Avvenire –. Ma poi lo incontro faccia a faccia, e vedo una persona che soffre perché pensava di aver preso una buona decisione, ma si è sbagliata e lo rimpiange». L’empatia non rende più facile cavalcare le montagne russe emotive che sono all’ordine del giorno in molti pronti soccorsi Usa. Qui i medici sono ancora una volta costretti a prendere decisioni dalle conseguenze enormi, con l’aggravante di dover scegliere se dare la precedenza a qualcuno che avrebbe potuto prevenire facilmente la sua malattia. «È davvero dura – conclude Cobia – perché siamo tutti emotivamente svuotati e stanchi, molto stanchi».
Jacob Appel, medico di pronto soccorso e direttore del centro di educazione etica del Mount Sinai di New York, da tempo si chiede se gli americani vaccinati debbano qualcosa ai non vaccinati. È arrivato a una risposta chiara: no, assolutamente nulla. «Le persone che rifiutano le misure di salute pubblica, compresi i vaccini, in nome della libertà personale, stanno affrontando un rischio di malattia mortale – spiega –. E intenzionalmente minacciano la salute dei vaccinati, perché prendono spazio ospedaliero e risorse sanitarie che potrebbero essere spese diversamente. Un ospedale non ha nessun obbligo morale di curare un non vaccinato, anche grave, prima di altri pazienti».
Il dibattito è vivo in tutto il Paese, dove si discute in quali impieghi imporre l’obbligo del vaccino e quando chiedere un pass vaccinale.
Ieri New York è diventata la prima città negli Usa a chiedere il certificato per l’ingresso in palestre e ristoranti. Intanto l’Amministrazione Biden, che ha raggiunto con un mese di ritardo il modesto obiettivo di vaccinare con almeno una dose il 70% degli adulti, cerca nuovi metodi, fra bastone e carota, per convincere i milioni ancora restii a farsi iniettare il siero. L’atmosfera alla Casa Bianca è di forte preoccupazione, perché l’allarme per la Delta cresce ogni giorno. Tanto che l’Amministrazione democratica ha deciso di lasciare in vigore la regola di Donald Trump di rimandare indietro centinaia di migliaia di richiedenti asilo, per motivi sanitari.
Scott Aberegg ha affrontato ogni ondata successiva di Covid dalla terapia intensiva del nosocomio dell’Università dello Utah. Anche se ne aspettava una quarta, non aveva previsto l’inferno virale che sta travolgendo il Sud e l’Ovest negli Usa. «I non vaccinati stanno morendo in massa – dice –: due terzi dei letti di terapia intensiva del mio ospedale sono occupati da pazienti Covid fra i 30 e i 50 anni». Per ora nessuno è stato spedito in fondo alla fila, anche se, ammette Aberegg, «c’è un grande conflitto interno. C’è questo senso di “Hai giocato alla roulette russa, ora la paghi”. So perfettamente che è un giudizio che va al di là del mio ruolo di medico. Ma mentirei se dicessi che non ci penso».
Dal Grandview Medical Center dell’Alabama, David Wilhelm ammette di essere frustrato. La soluzione che ha trovato è di usare la sua esperienza per moltiplicare gli appelli alla vaccinazione. «Dopo aver firmato un certificato di morte, prendo una decina di minuti per parlare con i familiari – spiega – e dire loro che il modo migliore per onorare la persona amata è farsi vaccinare. E incoraggiare tutti quelli che conoscono a fare lo stesso».