Il ritorno. Ex casco blu olandese al Memoriale di Srebrenica per trovare il «perdono»
Le stele con i nomi celle vittime dell'eccidio di Srebrenica nel mausoleo di Potocari
Il memoriale di Potocari a Sebrenica - Ansa
Il Memoriale di Potocari, a pochi chilometri da Srebrenica. è un luogo che toglie il fiato. Migliaia di lapidi, a perdita d’occhio, punteggiano il campo in cui gli uomini musulmani si trovarono ad aspettare la morte nell’estate del 1995. Davanti ci sono ancora i resti del complesso industriale che ospitava la base dell’Onu. C’è un uomo dall’aria smarrita che da qualche giorno si aggira nei dintorni della struttura. Si bagna i piedi nella grande fontana, si ripara dalla calura sotto il tetto della moschea che domina l’ingresso. Il suo nome è Emil. Nel 1995 era un soldato del Dutchbat, il contingente di caschi blu olandesi che non mosse un dito per scongiurare il massacro compiuto dagli uomini del generale Ratko Mladic. «Da allora sono devastato dai sensi di colpa», ci confessa. «Dopo tanto tempo ho trovato finalmente il coraggio di tornare qua per chiedere perdono alla gente, anche se quelli come me non hanno alcuna colpa perché non potevano fare niente». «All’epoca avevo appena diciotto anni, mi ero arruolato da poco e presidiavo uno dei posti di osservazione intorno all’enclave. Quando ho fatto ritorno a casa mi hanno diagnosticato una grave forma di depressione e ho tentato il suicidio un paio di volte. Nel nostro paese quelli come me sono ancora considerati dei vigliacchi o addirittura i complici dei massacratori. Qui invece mi sento accettato».
Il comportamento degli uomini del Dutchbat resta ancora oggi uno degli aspetti più controversi nella ricostruzione della strage. Il Tribunale dell’Aja ha riconosciuto l’Olanda civilmente responsabile imputando agli olandesi le morti avvenute entro i confini dell’area protetta stabilita dalle Nazioni Unite. Gli ex caschi blu, che erano numericamente inferiori rispetto agli assedianti, sostengono invece di essere stati bloccati da regole d’ingaggio troppo restrittive. “Furono Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti a vanificare la missione”, accusa l’ex soldato prima di mostrarci un disegno. «Me lo regalò un bambino al quale passavo del cibo di nascosto. Credo si chiamasse Nerfed, se fosse sopravvissuto mi piacerebbe incontrarlo di nuovo».