Quella di Rawan, sposa bambina a soli otto anni, è solo una storia, il suo è solo un nome che si fa spazio fra notizie piovute da tutto il mondo. Il suo Paese, lo Yemen, nega ogni cosa. Ma sono proprio storie come quella della bimba yemenita morta per le ferite riportate dopo la prima notte di nozze a portare l'attenzione sul fenomeno, che è dello Yemen ma che è anche di altri Paesi, dei matrimoni in età infantile. Combinati da genitori troppo poveri o troppo poveri di scrupoli. In favore di uomini i cui istinti pedofili sono assecondati da leggi statali deboli, e protetti da quanti, conservatori e religiosi più estremisti, affermano che la legge islamica non pone limiti d'età per le nozze.
Il caso di Rawan, raccontato da un giornalista freelance e subito smentito dalle autorirà della provincia yemenita di Hajja, trova riscontro negli ultimi dati dell'Unicef: in Yemen i matrimoni negli anni dell'infanzia riguardano il 14% delle bambine, che si sposa prima di compiere i 15 anni. Il 52% sono spose prima dei 18. Nel 2005 l'Università di Sanàa ha denunciato che in alcune aree rurali vengono date in sposa bambine di soli otto anni, come la piccola Rawan.
Nel 2009 il Parlamento dello Yemen ha votato una legge per vietare i matrimoni sotto i 17 anni, ma gli esponenti più conservatori, Corano alla mano, si sono opposti. «Le conseguenze dei matrimoni infantili sono devastanti. Le bambine vengono tolte da scuola, la loro istruzione interrotta in modo permanente e molte soffrono di problemi di salute cronica per avere troppi figli e troppo presto - denuncia Liesl Gerntholtz, direttore della Divisione per i diritti delle donne di Human Rights Watch - È fondamentale che lo Yemen prenda misure immediate e concrete per proteggere le ragazze da questi abusi».E oggi uno studio choc condotto dall'Onu su 10mila uomini in Asia (tra Bangladesh, Cina, Cambogia, Indonesia, Sri Lanka e Papua Nuova Guinea) ha rivelato che uno su quattro ammette di aver commesso una violenza sessuale almeno una volta nella vita. In particolare, il 59% ha risposto di aver stuprato per divertimento, il 38% per punire la vittima. Molti hanno anche confessato di aver violentato per la prima volta quando erano ancora adolescenti. Comportamenti radicati nella vita quotidiana, spesso tollerati dal contesto sociale, o sui cui si chiudono entrambi gli occhi per non creare danni peggiori a sé e alle stesse vittime. Sono timidi i segnali che qualcosa potrà cambiare in tempi veloci. Uno è appena arrivato, dall'India delle numerose violenze subite dalle donne anche per strada: sono stati tutti giudicati colpevoli i quattro accusati dello stupro di una studentessa di 23 anni in un autobus a New Delhi il 16 dicembre. La giovane morì due settimane dopo in un ospedale a Singapore a causa delle ferite riportate. Si sono espressi i giudici di una corte speciale indiana dopo un processo durato sette mesi. La ragazza si chiamava Jyoti Singh Pandey. Solo un nome e solo una storia, come quelli di Rawan, che valgono il futuro e il sorriso di tante bambine e donne come loro.